Pubblico questo post dall’aeroporto di Chicago. Domani nelle librerie italiane uscirà il mio libro L’Intrigo saudita, nella collana The Cooper Files. Questa mattina Sergio Rizzo ha anticipato la pubblicazione con un bell’articolo sul Corriere. Lo staff di Banda Larga, la società editoriale che gestisce Cooper (oltre ad altre importanti pubblicazioni come Internazionale e East) è impegnato in queste ore nella promozione del libro. Mi aspetto che il mio lavoro serva ad aprire un dibattito che corregga la memoria storica su un episodio clamoroso della storia italiana di trent’anni fa. E io… che ci faccio in America?
No, non me ne sono andato per fare l’autore snob alla Moretti che si fa notare di più quando non c’è. Il fatto è che domani a Lincoln, nel Nebraska, cominciano i festeggiamenti per i 50 anni della mia classe. Cinquant’anni da quando andai in America per un anno come foreign exchange student per l’American Field Service. Cinquant’anni dalla graduation cioè dalla maturità alla Lincoln South East High School. I miei compagni di allora “The knights of Southeast”, si ritrovano in questo week end. Sarà una cosa molto diversa dalle nostre malinconiche cene di classe, perché nella scuola americana si possono scegliere curricula diversi, per cui tra corsi e attività extrascolastiche si interagisce con l’intera scuola. Un po’ come all’università da noi. Sarà una festa grande, con molta gente, cerimonie, visite ufficiali, il discorso di uno storico, l’immancabile torneo di golf. Da allora non sono mai ritornato nel Nebraska. E non ho mai avuto occasione di ritornare negli Stati Uniti dopo l’11 settembre. Insomma, questo è un viaggio speciale e meriterà un racconto a parte. Dovevo esserci, anche se non gioco a golf.
Ma torniamo all’Intrigo saudita. I contenuti li potete trovare sul sito dedicato dove si potrà anche consultare l’indice, una cronologia della vicenda e l’elenco dei nomi. Le ragioni che mi hanno indotto a spendere un anno di lavoro per questo libro sono oggettive e soggettive. C’era innanzitutto da fare un’operazione di giustizia. Nel ricordo generale, anche dei giornalisti più attenti, la vicenda Eni Petromin fu una storiaccia di finanziamenti ai partiti attraverso la P2 che voleva mettere le mani sui giornali italiani. Quando ho cominciato a studiare i documenti e a cercare i protagonisti di allora, ero quasi certo che non fosse così (il perché lo spiego più avanti), ma la verità era sepolta in un mare di carte parlamentari e giudiziarie. Spero di aver dato risposte esaurienti: i soldi non erano destinati né ai partiti né alla P2, l’ex presidente dell’Eni Giorgio Mazzanti ha commesso molti errori, come lui stesso ammette nell’intervista che gli ho fatto 30 anni dopo, ma è assolutamente innocente (del resto a suo carico non c’è mai stata non dico una sentenza, ma nemmeno l’inizio di un procedimento giudiziario), la maxitangente aveva altre destinazioni.
Non mi potevo fermare a questo punto. Se si trattò di un falso scandalo, chi armò tutto quel casino per far saltare il contratto? Chi promosse la colossale disinformazione, una campagna da far impallidire gli epigoni di oggi? A questa domanda ho cercato di rispondere nella parte conclusiva del libro e le mie tesi, quando le avevo già scritte, hanno avuto il supporto di un’intervista di Francesco Cossiga realizzata appena prima di andare in stampa.
C’è poi un’altra ragione che mi ha indotto a scrivere questo libro. Nel 1979, quando scoppiò lo scandalo, lavoravo a fianco di Mazzanti come direttore centrale dell’Eni per i rapporti con il governo, il parlamento e la stampa. Rimasi all’Eni sedici mesi, poi fui ben felice di ritornare al giornalismo. In quel periodo avevo maturato convinzioni, ma non certezze. Per esempio, sapevo che Mazzanti non conosceva Gelli al momento della firma del contratto con gli arabi. Ma nel complesso non avevo capito perché era esploso questo enorme scandalo, che fece perdere all’Italia centinaia di miliardi (in lire di allora) e aprì la strada a dieci anni d’involuzione dell’Eni. Per trent’anni mi sono portato dentro la voglia di capire meglio, ma per rispondere dovevo ritagliare molti mesi per dedicarmi esclusivamente a questo libro. Finalmente ho avuto la possibilità di farlo.
Nella narrazione – come spiego nella Nota introduttiva del libro – ho cercato per quanto possibile di lavorare su elementi accertati, testimonianze e documenti, utilizzando i ferri del mestiere di cronista della politica e dell’economia che ho esercitato per quarant’anni. Ho isolato in corsivo le mie testimonianze personali in fondo a ciascun capitolo, proprio per non inquinare l’obiettività del racconto, ma semmai per corredarlo con alcuni fatti in più.
Il risultato è una verità complicata. Forse la gente non ama le verità complicate, però si appassiona ai libri di Dan Brown o di Stieg Larsen. L’Intrigo saudita è una storia è tutta vera, ma si legge come un giallo politico.
Insomma… comprate il mio libro (anche on line senza spese di spedizione) e buona lettura. E non mancate di farmi avere i vostri graditi commenti o le vostre graditissime testimonianze su quell’epoca e quella vicenda. La Storia è un puzzle infinito: si può sempre aggiungere qualche tassello.
Il tuo post e la recensione di Rizzo mi hanno incuriosito.
Mi sembra una vicenda interessante e “intrigante” (il titolo è molto azzeccato!) e sono sicura che avrai molti lettori.
Comunque complimenti per il tuo lavoro.
Adele
Grazie. Ma hai visto che bel sito mi ha fatto Cecilia? E’ tutto merito suo!