Tra il bisogno di mantenere gli stessi consumi del passato per ridurre i danni della crisi economica e l’esigenza di cambiare il modello di sviluppo per far fronte alla scarsità di risorse a livello globale c’è un’evidente contraddizione. Nel suo messaggio di fine anno Napolitano ha indicato una strada per trasformare la crisi da pericolo in opportunità, secondo l’indicazione dell’ideogramma cinese, etimologicamente falsa, ma comunque piena di saggezza.
“Consumate di più, non cambiate il vostro stile di vita”. Questo sembra essere il messaggio dominante delle forze di governo per far fronte alla crisi economica. Al tempo stesso, sappiamo che, crisi o non crisi, dovremo in prospettiva imporci uno stile più sobrio: il mondo non può reggere gli attuali livelli di consumo individuale dell’Occidente, soprattutto se aumenteranno le capacità di spesa, com’è naturale e giusto che sia, di almeno altri due miliardi di persone che nei prossimi dieci anni si aggiungeranno al miliardo di superconsumatori di Stati Uniti ed Europa.
Anche i più scettici sul riscaldamento globale devono ammettere che non saranno sufficienti le risorse energetiche, l’acqua, il cibo, i minerali essenziali. A meno di non compiere sostanziali salti tecnologici che ci consentano di sfruttare appieno l’energia del sole, le risorse dei mari, le terre aride, razionalizzando al tempo stesso l’impiego dei materiali che scarseggiano nella produzione dei beni che ci sono necessari, dalle case alle automobili.
C’è insomma un paradosso tra il bisogno di sostenere sic et simpliciter la produzione attraverso i consumi e la necessità di cambiare in prospettiva il modello di sviluppo. Sembra che nel breve temine in Italia non siamo in grado di far nient’altro che continuare in comportamenti non rispondenti alle esigenze del futuro. Così facendo, con ogni probabilità, l’Italia rimarrà ancora più indietro rispetto a chi si sta già attrezzando per far fronte alle probabili crisi dei prossimi decenni e per dominare le nuove produzioni del futuro.
Mi sembra che soltanto Giorgio Napolitano, tra i politici italiani, abbia colto le esigenze di cambiamento. in occasione del suo messaggio di fine anno. Nel testo pronunciato dal presidente della Repubblica la parola crisi vi ricorre tredici volte (una curiosità: la stessa parola ricorre solo due volte, per riferirsi a crisi internazionali, nell’analogo messaggio del 2006 e neanche una volta nel 2007). Napolitano invita a considerare la crisi come un’occasione per migliorare le nostre istituzioni, a farne “un’occasione per impegnarci a ridurre le sempre più acute disparità che si sono determinate nei redditi e nelle condizioni di vita”, con particolare riferimento al Mezzogiorno. Propone di “rinnovare la nostra economia, e insieme con essa anche stili di vita diffusi, poco sensibili a valori di sobrietà e lungimiranza”. Vorrebbe “fare della crisi un’occasione perché l’Italia cresca come società basata sulla conoscenza, sulla piena valorizzazione del nostro patrimonio culturale e del nostro capitale umano”. Ed invita espressamente a cogliere “le opportunità offerte dalle tecnologie più avanzate per l’energia e per l’ambiente”.
Non spetta al Presidente della Repubblica indicare un programma di governo, anzi nel suo discorso Napolitano è stato ben attento a non invadere i campi della dialettica tra maggioranza e opposizione. Però l’uomo del Quirinale ha certamente indicato un terreno di confronto e soprattutto uno stile: quello della “sobrietà e della lungimiranza”, oltre che della solidarietà verso i più deboli. E’ da queste indicazioni che dovrebbe scaturire una nuova politica economica: attenta innanzitutto ai più poveri e a chi non ha certezze sulla durata del posto di lavoro, cioè a quelli che rischiano di risentire maggiormente della crisi economica. Ma capace anche di selezionare, nel supporto ai consumi e alle imprese, quei beni, quelle produzioni e quelle ricerche che ci preparano meglio al futuro.
Post scriptum
Grazie a un post di mio figlio Pietro su Facebook (che evidentemente non serve solo a scrivere stupidaggini) ho scoperto che il famoso luogo comune secondo il quale l’ideogramma cinese per “crisi” unisce i concetti di “pericolo” e “opportunità” è in realtà un fraintendimento nelle traduzioni dal mandarino: lo spiega in un articolo il professor Victor H. Mair. Ne prendo atto. Ma sono comunque d’accordo con Napolitano: questa crisi è al tempo stesso un pericolo e un’opportunità.
Non è degno di un Paese sviluppato che, in piena crisi economica, l’iniziativa istituzionale più significativa sia stata l’invito rivolto ai cittadini di andare a fare la spesa. Per quanto sia indispensabile questo genere di contributo da parte dei singoli, non è sufficiente, così come non può bastare la mera individuazione degli strumenti per fronteggiare la crisi, se poi le istituzioni non si impegnano a metterli in pratica. Un segnale positivo è arrivato, tuttavia, dalla Provincia di Roma, che ha acquistato quote di partecipazione della società Alta Roma, per dare un aiuto concreto alle aziende artigiane e alle piccole e medie imprese, (quelle maggiormente colpite dalla crisi).Ci si augura che Zingaretti possa essere un buon esempio da seguire.
Sono d’accordo con Lucy. Però vorrei che, in sede italiana o europea, si definisse una politica specifica di promozione delle industrie che operano nei settori che ci consentiranno di affrontare meglio il cambiamento dei modelli di consumo che sarà necessario nel futuro. In Germania, per esempio, entro il 2020 le imprese legate a risparmio energetico ed energie alternative saranno più importanti di quelle legate all’automobile. E noi? Continueremo a produrre automobili, prodotti tessili e oggetti di lusso?