E’ un facile gioco di parole, dire che tra la “questione settentrionale” esplosa prima delle ultime elezioni e la “questione meridionale” che si trascina da più di un secolo esiste anche una “questione centrale”, cioè di tutti quei territori che non si identificano né con la Padania né col Mezzogiorno, dove gli amministratori legittimamente si interrogano sulle conseguenze della “secessione dolce” mascherata da federalismo che il nuovo governo si troverà a gestire.
In realtà (un altro gioco di parole, chiedo scusa), la questione centrale è davvero centrale, perché è questione nazionale. Solo un governo capace di dare risposte che valgono per tutti, solo una opposizione in grado di costruire un progetto alternativo di società, possono evitare che questo Paese vada a pezzi nell’illusione di stare meglio senza “gli altri”.

Cominciamo dal governo. Oggi, in attesa del nuovo gabinetto di Silvio Berlusconi, vorrei dire che a me non importa se i ministri saranno dodici, quindici o venti. Se davvero si vuole risparmiare, basta ridurre la dimensione dei loro uffici, senza accorpare troppe attività che, lo abbiamo visto in passato, faticano a stare insieme. Invece, vorrei che i ministri fossero davvero in grado di guidare il loro ministero. Non importa se sono o non sono tecnici: un bravo politico può anche cogliere l’essenza di problemi che non conosce a fondo. Quello che conta veramente è la volontà di seguire le questioni fino all’effettiva soluzione, senza limitarsi alle comparsate sui giornali. Anche nei governi esistono ministri mastini che aggrediscono le questioni e ministri barboncini che si accontentano di abbaiare.
Dagli anni in cui mi occupavo di Mezzogiorno ricordo con ammirazione Remo Gaspari, sì quel democristiano trattato con sufficienza per la capacità di convogliare soldi pubblici sul suo Abruzzo. Il mastino Gaspari non aveva forse una grande visione strategica, ma stava al suo ministero dal mattino alla sera, e non mollava le pratiche finché non le portava a soluzione. Mentre ricordo come ministri abbaianti Riccardo Misasi e Calogero Mannino, che se ne infischiavano delle pratiche ministeriali (Misasi addirittura andava in ufficio solo dopo le nove di sera) e usavano solo le strutture di potere. Ma ministri incapaci di concepire una strategia che andasse oltre la rassegna stampa c’erano anche nel governo Prodi.
M’importa, invece, che i ministeri abbiano strutture adeguate, che i nuovi ministri non buttino all’aria le direzioni generali in nome dello spoil system. Perché la pubblica amminstrazione è una macchina complessa. E’ bene inserire competenze nuove, ma guai a cancellare tutto quello che è stato fatto finora, come ho visto succedere, con risultati disastrosi, durante il governo Berlusconi del 2001 – 2006.

Al tempo stesso, vorrei un’opposizione meno parolaia e più capace di costruire una prospettiva nuova. Mi ha disturbato, per esempio, che Walter Veltroni abbia sfornato un programma elettorale fatto di progetti di legge di pura facciata, perchè in molti casi o erano irrealistici o erano abbozzati, senza tener conto del lavoro fatto dal governo in alcuni campi negli anni precedenti.
Non mi appassiona il dibattito su quello che farà questa sinistra. Potrà competere per amministrare meglio alcuni territori, ma mi sembra totalmente sprovveduta di fronte alle grandi domande alle quali si dovrà rispondere nel prossimo decennio. Provo a elencarne alcune, utilizzando una riiflessione che ho sottoposto anche agli amici di Una città.

La governance. La crisi ambientale e quella finanziaria ci hanno dimostrato che non si può affidarsi solamente alle forze del mercato. Ma dalla globalizzazione non si può tornare indetro. E allora? Su quali istituzioni internazionali vogliamo puntare? Per esempio il Wto è cattivo, perché ha accelerato troppo la liberalizzazione dei mercati, come dicono Tremonti e i no global, oppure è una istituzione fondamentale per governare il cambiamento? E a quali condizioni?

L’ambiente. Un anno fa l’Europa ha varato un piano molto ambizioso per contenere le emissioni entro il 2020 e prendere la leadership mondiale del dopo Kyoto. Adesso sono all’opera tutte le forze che temono conseguenze troppo gravi per le imprese europee e per il nostro stile di vita. Bisogna battersi davvero per obiettivi ambientali ambiziosi o limitarsi ad ipocriti auspici senza alcun impatto politico?
L’immigrazione. E’ fin troppo facile respingere certi toni dei leghisti. Ma quanta e quale immigrazione vogliamo? Con quali criteri di selezione e con che tipo di accoglienza? Dobbiamo accogliere soltanto chi ci serve per far funzionare le nostre industrie e accudire i nostri vecchi, oppure dobbiamo avere una strategia più generale di aiuto verso i Paesi nuovi? Quanto siamo disposti a sacrificare per questo obiettivo?

La vita umana. Anche se tra laici e cattolici ci sono concezioni profondamente diverse, a certe domande non si può sfuggire. Per esempio: sarà sempre più facile arrivare fino a novant’anni e oltre. A una condizione: di avere i soldi per pagarsi le cure. Anche qui si profilano temi etici di enorme importanza. Che cosa deve garantire la collettività e che cosa deve rimanere nella sfera delle possibilità individuali?

E si potrebbe continuare con tanti temi globali (l’importanza di certi interventi militari, i diritti umani, gli ogm, la bioetica, le nuove forme di democrazia legate alla rete) che nel dibattito italiano vengono soltanto sfiorati, solitamente per dire delle banalità, perché sono fonte di troppo divisioni.
Ecco, io credo che il dovere di una forza politica nuova (di sinistra? sì, certo, se sinistra vuol dire affrontare il cambiamento, ma le etichette poco importano) sia di mettere queste domande sul tavolo per elaborare risposte condivise e agire di conseguenza. Altrimenti, se l’opposizione si limiterà a glissare su queste cose per fare invece il controcanto a Berlusconi e a Bossi sulle banalità di ogni giorno magari accusandoli di favorire i naziskin, se l’eventuale governo ombra non sarà anch’esso composta da mastini, ma da barboncini, penso che non solo perderà tutte le battaglie politiche, ma contribuirà a fare dell’Italia un Paese sempre più marginale e culturalmente provinciale.

1 commento

  1. Salve. solo per sergnalare che il link ad una città fa riferimento al server dove è ospitata la mailing e non alsito della rivista :-)

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