È ormai in circolazione da quasi un mese il libro che ho scritto con Gianluca Comin: 2030 La tempesta perfetta – Come sopravvivere alla Grande Crisi. L’accoglienza è stata ottima, com’è testimoniato dalle numerosissime recensioni. Mi sembra giunto il momento di tracciare un primo bilancio, anche perché Gianluca e io abbiamo fatto questo lavoro per stimolare il dibattito in Italia su temi importanti, sistematicamente accantonati di fronte alle emergenze. Vorrei sottolineare tre cose: le caratteristiche temporali del nostro discorso, la natura delle sfide che abbiamo di fronte e i ritardi, soprattutto nel nostro Paese, nell’elaborazione delle risposte. 

È ormai in circolazione da quasi un mese il libro che ho scritto con Gianluca Comin: 2030 La tempesta perfetta – Come sopravvivere alla Grande Crisi. L’accoglienza è stata ottima, com’è testimoniato dalle numerosissime recensioni. Mi sembra giunto il momento di tracciare un primo bilancio, anche perché Gianluca e io abbiamo fatto questo lavoro per stimolare il dibattito in Italia su temi importanti, sistematicamente accantonati di fronte alle emergenze. Vorrei sottolineare tre cose: le caratteristiche temporali del nostro discorso, la natura delle sfide che abbiamo di fronte e i ritardi, soprattutto nel nostro Paese, nell’elaborazione delle risposte.

Che senso ha il nostro riferimento al 2030? Certamente non pretendiamo di avere le capacità profetiche dei Maya: non diciamo che la tempesta perfetta avverrà in quell’anno. Il nostro libro parte dall’analisi di John Beddington, il capo dei consulenti scientifici del governo inglese, che nel 2009 avvertì che entro un ventennio la somma dei fattori critici (demografia, clima, scarsità di materie prime e di acqua) avrebbe creato una situazione globale molto pericolosa. Il suo discorso stimolò il Population Institute di Washington a diffondere in migliaia di copie un opuscolo (tradotto nel nostro libro) per stimolare la discussione. Altri esperti sono ancora più drastici rispetto a questa previsione. Nel suo recentissimo World On The Edge -How to Prevent Environmental and Economic Collapse, il presidente dell’Earth Policy Institute Lester Brown segnala che la crisi potrebbe arrivare molto prima. In realtà, dice Brown,  “Nessuno sa davvero quanto tempo ci rimane continuando con l’andazzo del business as usual. Siamo handicappati dalla difficoltà di capire le dinamiche delle crescite esponenziali in un ambiente delimitato come la Terra”. La crescita esponenziale nell’impiego delle risorse sembra essere la grande minaccia dell’immediato futuro, come sottolinea anche Chris Martenson nel suo The crash course. Martenson, ex scienziato e finanziere, ha scelto di cambiare vita dopo aver cominciato a studiare questi problemi e dispensa consigli sulla “resilience”, cioè come attrezzarsi al meglio a livello individuale per affrontare le inevitabili crisi future.

C’è insomma un’ampia convergenza sul fatto che stiamo sottoponendo le risorse del Pianeta a uno stress insostenibile e che i nodi verranno al pettine, anche prima del 2030. Lo documentiamo anche nel nostro libro, che però indica anche le risposte, in atto e da rafforzare, nei diversi comportamenti degli individui, delle imprese, degli agglomerati umani a cominciare dalle grandi città, nella governance globale, nell’accelerazione delle tecnologie energy saving, soprattutto elettriche.

A questo punto però dobbiamo interrogarci su quello che stiamo facendo in Italia a livello politico per affrontare le sfide del futuro. Posso capire che il governo dei tecnici abbia priorità immediate, dallo spread alla crescita, che portano ad accantonare i problemi di medio o lungo termine. Ma così non dovrebbe essere per i partiti che, spiazzati dall’attuale situazione, sono alla ricerca di nuove basi programmatiche per ritrovare credibilità presso gli elettori. Non può esserci programma che eluda i temi che abbiamo sollevato.

Per fare un esempio (ma è solo un esempio, perché i problemi non si limitano al clima) molti Paesi europei hanno cominciato ad affrontare seriamente, con Piani nazionali di adattamento, le conseguenze del cambiamento di clima. Il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha di recente presentato il “Fondo Kyoto” per stimolare l’economia verde. Si tratta certamente di un’ottima iniziativa, ma manca finora il tentativo di tracciare un quadro complessivo delle sfide che l’Italia dovrà affrontare. La Gran Bretagna ha appena diffuso il primo UK Climate Change Risk Assessment, che affronta globalmente il problema, mentre la Commissione europea raccoglie le National Adaptation Strategies dei Paesi membri. La pagina italiana è tristemente vuota, con solo un riferimento ad alcune attività frammentarie da parte dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, e il link a una conferenza nazionale tenuta durante il governo Prodi, che peraltro non fu un folgorante successo.

Anche negli Stati Uniti, nonostante i ritardi nel mutamento dei modelli di consumo energetico, i piani di adattamento sono una cosa seria: molti stati hanno messo a punto un Adaptation plan, nell’ambito di una strategia monitorata dal Center for Climate and Energy Solutions, interrogandosi anche sui rischi di accelerazione del mutamento climatico.

E l’Italia? “E l’Italia giocava alle carte e parlava di calcio nei bar”, cantava Giorgio Gaber quarant’anni fa. Possibile che sia ancora così?

P.S. Ringrazio mio figlio Pietro Speroni di Fenizio per avermi segnalato alcune delle fonti citate in questo post.

1 commento

  1. Ciao Donato, letto con interesse il post… Lo linko volentieri su FB se mi dai il permesso… Ciao, bbb

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