Riprendo a scrivere sul mio sito personale, che ho trascurato in questi mesi per dedicarmi a Numerus, il blog su Corriere.it, perché voglio dire la mia su Remo Gaspari, il politico democristiano scomparso ieri a Gissi, il suo paese natale. Non è stato solo in grande protettore del suo Abruzzo, un tipico potente della Dc dorotea che dominava la Prima repubblica. E’ stato anche, per come l’ho conosciuto, un ottimo ministro.

Nell’aprile del 1988, quando divenne ministro del Mezzogiorno, dirigevo Capitale Sud, un settimanale del gruppo Class dedicato appunto all’economia del Mezzogiorno. Ero molto prevenuto e dovetti ricredermi. Era un periodo di grandi speranze e di tanti soldi per il cosiddetto “intervento straordinario”. Due leggi, la legge 44 e la 64 del 1986, avevano annunciato una pioggia di miliardi sul Sud. La 44 per finanziare l’imprenditorialità giovanile, la 64 per una serie di cosiddette “azioni organiche” nelle quali c’era dentro di tutto, dall’informatizzazione della Calabria alle più disparate opere pubbliche.

Riprendo a scrivere sul mio sito personale, che ho trascurato in questi mesi per dedicarmi a Numerus, il blog su Corriere.it, perché voglio dire la mia su Remo Gaspari, il politico democristiano scomparso ieri a Gissi, il suo paese natale. Non è stato solo in grande protettore del suo Abruzzo, un tipico potente della Dc dorotea che dominava la Prima repubblica. E’ stato anche, per come l’ho conosciuto, un ottimo ministro.

Nell’aprile del 1988, quando divenne ministro del Mezzogiorno, dirigevo Capitale Sud, un settimanale del gruppo Class dedicato appunto all’economia del Mezzogiorno. Ero molto prevenuto e dovetti ricredermi. Era un periodo di grandi speranze e di tanti soldi per il cosiddetto “intervento straordinario”. Due leggi, la legge 44 e la 64 del 1986, avevano annunciato una pioggia di miliardi sul Sud. La 44 per finanziare l’imprenditorialità giovanile, la 64 per una serie di cosiddette “azioni organiche” nelle quali c’era dentro di tutto, dall’informatizzazione della Calabria alle più disparate opere pubbliche.

In una confusa situazione istituzionale, la gestione dei fondi della 64 era contesa tra due diversi enti: da un lato il Dipartimento per il Mezzogiorno, guidato dal socialista Antonio da Empoli, un economista che si sforzava di dare un senso a una legge così complicata e pericolosa. Dall’altro l’Agenzia per la promozione dello sviluppo nel Mezzogiorno, succeduta alla vecchia Cassa, una colossale struttura guidata dal consigliere di Stato democristiano Giovanni Torregrossa. Quest’ultimo, personaggio brillante e assai potente nella Prima Repubblica, mal sopportava che l’ideazione degli interventi fosse affidata al Dipartimento mentre alla sua Agenzia spettavano compiti esecutivi; cominciò ben presto ad attaccare il Dipartimento.

Il ministro Gaspari però rimase fermo nel far rispettare la legge e non ebbe esitazioni ad appoggiare Da Empoli, al quale riconfermò i compiti di programmazione. Perché “Zio Remo” era così: clientelare senza dubbio quando si trattava del suo Abruzzo, ma anche molto attento al rispetto della legge e ai risultati complessivi, senza limitarsi agli annunci, come fanno quasi tutti i politici.

A un certo punto nella vita del giornale decidemmo che non bastava fare inchieste giornalistiche, bisognava andare più a fondo, per esempio verificando sul campo gli effetti dei tanti finanziamenti erogati alle imprese giovanili, attraverso la legge 44/86, ma anche numerose leggi regionali. Creammo una società di ricerca, la CentoSud, affidata operativamente a Paola De Benedetti Bonaiuto, ed insieme alla Gepi gestimmo il primo monitoraggio in questo settore. Iniziammo la ricerca piuttosto prevenuti, convinti che gran parte di quelle imprese fossero finte. Dovetti ricredermi: grazie al buon lavoro del presidente del Comitato che gestiva la legge 44, Carlo Borgomeo, le imprese giovanili finanziate con la legge nazionale esistevano ed avevano buone possibilità di riuscita: un risultato confermato anche dalle successive verifiche qualche anno dopo. Invece quelle delle leggi regionali erano quasi tutte irrecuperabili, anche nell’Abruzzo dello “Zio Remo”. Quando portai questi risultati a Gaspari (il Ministero finanziava la ricerca) il  ministro mi invitò a organizzare immediatamente una conferenza stampa riferendo tutti i risultati.

Col successivo governo, nell’aprile 1991, il Mezzogiorno passò a Riccardo Misasi e potei constatare la differenza tra due stili di conduzione democristiana: preciso e attento ai minimi particolari quello di Gaspari; interessato solo ai grandi disegni politici, ma ben poco alla buona gestione, quello di Misasi, che arrivava al ministero alle nove di sera e praticamente non aveva rapporti con la struttura.

Fui anche coinvolto nella presentazione di un libro sulla esperienza di Gaspari al Mezzogiorno: un evento al quale parteciparono Luciano Barca, Vincenzo Scotti e altri politici che avevano per “Zio Remo” affetto e stima. Doveva svolgersi a Roma, alla Camera, ma a un certo punto Gaspari mi telefonò: “Senti, quella presentazione ho pensato che è meglio se la facciamo a Gissi…”. Era fatto così.

 

In una confusa situazione istituzionale, la gestione dei fondi della 64 era contesa tra due diversi enti: da un lato il Dipartimento per il Mezzogiorno, guidato dal socialista Antonio da Empoli, un economista che si sforzava di dare un senso a una legge così complicata e pericolosa. Dall’altro l’Agenzia per la promozione dello sviluppo nel Mezzogiorno, succeduta alla vecchia Cassa, una colossale struttura guidata dal consigliere di Stato democristiano Giovanni Torregrossa. Quest’ultimo, personaggio brillante e assai potente nella Prima Repubblica, mal sopportava che l’ideazione degli interventi fosse affidata al Dipartimento mentre alla sua Agenzia spettavano compiti esecutivi; cominciò ben presto ad attaccare il Dipartimento.

Il ministro Gaspari però rimase fermo nel far rispettare la legge e non ebbe esitazioni ad appoggiare Da Empoli, al quale riconfermò i compiti di programmazione. Perché “Zio Remo” era così: clientelare senza dubbio quando si trattava del suo Abruzzo, ma anche molto attento al rispetto della legge e ai risultati complessivi, senza limitarsi agli annunci, come fanno quasi tutti i politici.

A un certo punto nella vita del giornale decidemmo che non bastava fare inchieste giornalistiche, bisognava andare più a fondo, per esempio verificando sul campo gli effetti dei tanti finanziamenti erogati alle imprese giovanili, attraverso la legge 44/86, ma anche numerose leggi regionali. Creammo una società di ricerca, la CentoSud, affidata operativamente a Paola De Benedetti Bonaiuto, ed insieme alla Gepi gestimmo il primo monitoraggio in questo settore. Iniziammo la ricerca piuttosto prevenuti, convinti che gran parte di quelle imprese fossero finte. Dovetti ricredermi: grazie al buon lavoro del presidente del Comitato che gestiva la legge 44, Carlo Borgomeo, le imprese giovanili finanziate con la legge nazionale esistevano ed avevano buone possibilità di riuscita: un risultato confermato anche dalle successive verifiche qualche anno dopo. Invece quelle delle leggi regionali erano quasi tutte irrecuperabili, anche nell’Abruzzo dello “Zio Remo”. Quando portai questi risultati a Gaspari (il Ministero finanziava la ricerca) il  ministro mi invitò a organizzare immediatamente una conferenza stampa riferendo tutti i risultati.

Col successivo governo, nell’aprile 1991, il Mezzogiorno passò a Riccardo Misasi e potei constatare la differenza tra due stili di conduzione democristiana: preciso e attento ai minimi particolari quello di Gaspari; interessato solo ai grandi disegni politici, ma ben poco alla buona gestione, quello di Misasi, che arrivava al ministero alle nove di sera e praticamente non aveva rapporti con la struttura.

Fui anche coinvolto nella presentazione di un libro sulla esperienza di Gaspari al Mezzogiorno: un evento al quale parteciparono Luciano Barca, Vincenzo Scotti e altri politici che avevano per “Zio Remo” affetto e stima. Doveva svolgersi a Roma, alla Camera, ma a un certo punto Gaspari mi telefonò: “Senti, quella presentazione ho pensato che è meglio se la facciamo a Gissi…”. Era fatto così.

2 commenti

  1. Caro Direttore, non mi sorprende la tua chiarezza nel raccontare un pezzo di storia del mio Sud. Preciso e sagace come sempre hai spiegato come il Mezzogiorno s’è bloccato anche alla fine degli Ottanta. L’avevi fatto con “Capitale Sud”, ed oggi sei riuscito a ricordarmelo. Quell’esperienza accanto a te, dalla lontanissima Calabria, è stata fertile e irripetibile. Con tantissimi colleghi che ricordo sempre con affetto e stima.
    Anche l’indagine di CentoSud, a cui ho partecipato nel mio piccolo, ha fatto luce sulle imprese del Mezzogiorno fino a quel momento immerse nel buio più profondo. Ce n’erano di tre tipi: a) quelle che funzionavano; b) quelle fantasma; c) quelle mafiose. Non c’erano grosse linee di demarcazione fra loro, in ogni caso tendevano tutte a non far sapere di esistere. E mettere a nudo quelle che lavoravano veniva sempre difficile.
    Il dramma vero è che dopo vent’anni la situazione non è cambiata.
    Un caro saluto, Vinicio

  2. Caro Vinicio, grazie della tua testimonianza. Un giorno dovremo scrivere in modo organico la storia di quegli anni, della speranza delusa provocata dalle leggi sul Mezzogiorno, dei grandi sprechi che ne sono seguiti. E anche del ruolo di Capitale Sud, delle belle cose che abbiamo fatto e perché no anche degli errori di valutazione…

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