Ce ne accorgiamo adesso, in piena crisi, ma sapevamo da tempo che il “tappo” sarebbe saltato. Alla lunga i tappi saltano sempre, quando c’è troppa pressione. Le previsioni dell’Onu ci dicono che in Europa, se il saldo migratorio continuerà ad essere pari all’attuale flusso ufficiale, la popolazione residente da adesso al 2050 rimarrà stabile: i migranti infatti riequilibreranno il calo naturale. Ma andrà davvero così oppure dovremo fronteggiare una grande impennata degli arrivi? I demografi si interrogano sulla attendibilità delle previsioni dell’Onu, perché nello stesso arco di tempo la popolazione africana aumenterà di un miliardo di persone. Il problema dunque non è il “tappo”, ma la “bottiglia”: per le nuove generazioni africane l’Europa rappresenta un tale cambiamento in meglio in termini di reddito e di aiuti alla famiglia d’origine che tanto vale tentare la lotteria dell’immigrazione clandestina. Come possiamo fronteggiare questa situazione? L’ultimo rapporto statistico della Caritas fornisce elementi che fanno riflettere, partendo da quella che i demografi chiamano “migration hump”, la gobba delle migrazioni.
E’ chiaro che l’immigrazione deve avere dei limiti. La popolazione italiana ha superato quota sessanta milioni, dopo la grande immigrazione soprattutto rumena avvenuta a seguito dell’apertura dell’Unione ai paesi dell’Est. Abbiamo bisogno dell’apporto degli immigrati, ma le nostre aree metropolitane sono ormai tra le più affollate d’Europa. Per mantenere stabile la popolazione italiana possiamo ricevere ed offrire sistemazioni regolari e decenti a 150/250 mila insediamenti stabili all’anno. Tanti per noi (il decreto flussi ne prevede solo 80mila per il 2011), se davvero vogliamo accogliere bene questi nuovi italiani, pochissimi di fronte alla pressione demografica che proviene dal Sud del mondo.
E allora? “Aiutarli a casa loro” è la risposta ovvia e obbligata. Ha proprio questo titolo un capitolo dell’ultimo dossier statistico immigrazione della Caritas, che rivela la cosiddetta“gobba migratoria”. Di che si tratta? Se si costruisce un diagramma che incrocia il prodotto interno lordo (Pil) dei paesi in via di sviluppo e la quantità di migranti, appare una sorta di campana: si scopre che si muovono soprattutto gli abitanti dei paesi a reddito intermedio mentre di norma non sono i più poveri che emigrano (non hanno né i mezzi né gli stimoli culturali) e naturalmente neppure quelli che non hanno bisogno di tentare la fortuna perché già vedono migliorare la loro situazione nel paese d’origine. Scrive la Caritas: “Dall’analisi risulta chiaro come non sia possibile delineare un semplice e diretto rapporto di casualità tra povertà ed emigrazione e come, di conseguenza, le azioni di cooperazione allo sviluppo non siano automaticamente adatte a limitare i flussi migratori” Per ragioni umanitarie dobbiamo mantenere mirata la cooperazione pubblica allo sviluppo sui Paesi più poveri del Pianeta, spiega la Caritas, anche se questo potrà far aumentare e non diminuire il numero dei giovani di quei paesi che con più cultura e qualche soldo in più vorranno emigrare.
Qual è la conseguenza di questa analisi statistica sul flusso dalla sponda Sud del Mediterraneo? Che l’emigrazione dal Nord Africa non nasce dalla povertà estrema, ma proprio dalla vivacità culturale, dalla voglia di cambiare, dal coraggio dei giovani di quei Paesi. Come possiamo aiutare questi giovani a casa loro? Azzardo una risposta: non aprendo le porte a una immigrazione indiscriminata, ma abbattendo le barriere alle loro esportazioni, favorendo flussi di investimenti e scambi culturali: una politica analoga a quella avviata con successo negli anni scorsi verso l’Europa ex comunista e che invece l’Europa stenta ad avviare verso il mondo arabo.