E’ paradossale: in un mondo che macina sempre più informazioni il mestiere di cronista rischia di sparire. Internet offre strumenti formidabili: blogs, digg, twitter… che però non bastano a garantire una copertura adeguata della realtà, ancor oggi raccontata sistematicamente soltanto dalla carta stampata. Nessuno riesce a immaginarsi il giornalismo del futuro, ma dopo uno scambio di idee con mio figlio, utente avanzato dell’informazione in rete, e riflettendo sulle parole di un esperto come Clay Shirky, ho cercato di fissare alcuni punti.

Molti giovani vogliono fare i giornalisti: nonostante tutto il mestiere ha ancora il suo fascino. Ma quale sarà il futuro dei giornali e del modo di fare informazione? Nessuno è in grado di dare risposte certe. Però possiamo provare a fissare alcuni punti, in modo molto sommario, come “scaletta” per futuri approfondimenti.
1) Il tramonto dei quotidiani. I media su carta faticano a sopravvivere, come dimostra la crisi che ha investito i quotidiani negli Stati Uniti. Forse qualcuno si salverà, ancora per qualche anno, ma molti si ridurranno a un’edizione on line. Anche le grandi reti televisive generaliste entreranno probabilmente in crisi, col frazionarsi dell’utenza in centinaia di canali tematici e il conseguente crollo della pubblicità.
2) I limiti delle edizioni on line. In realtà le edizioni on line dei giornali sono il frutto di un fallimento: rispecchiano l’incapacità di tutti gli editori di trovare un modello di business adeguato per finanziare i giornali in rete. Lo spiega Clay Shirky, un esperto internazionale che si occupa degli effetti economici di internet, in un suo recente articolo. Il risultato di questa situazione è che, quando un giornale si limita all’edizione on line, licenzia un gran numero di redattori perché sostanzialmente taglia il business. E’ dunque probabile che nel complesso i giornalisti come noi li conosciamo, legati a case editrici da contratti sostanzialmente privilegiati rispetto alle altre categorie, ma anche impegnati a rispettare un’etica professionale, tenderanno se non ad estinguersi di certo a ridursi fortemente.
3) Meno giornalisti, tanti informatori. Meno giornalisti non significa meno operatori dell’informazione e della comunicazione. La civiltà moderna macina informazioni che richiedono persone in grado di confezionarle. Può trattarsi d’informazioni per canali molto specializzati (come quelle prodotte dai cronisti delle agenzie finanziarie come Bloomberg esperti nella copertura di pochi dati economici), oppure d’informazioni che devono soprattutto fare spettacolo (per esempio il lavoro dei redattori di documentari sugli animali) oppure di comunicazioni di parte: ogni soggetto collettivo (imprese, amministrazioni pubbliche, comunità di vario genere) continuerà ad avere bisogno di produrre proprie informazioni per sopravvivere. Chi intende dedicarsi a queste produzioni potrà trovare lavoro; ma certo si tratta di un mestiere diverso dal giornalismo che siamo abituati a immaginare, con limiti molto stringenti.
4) Ci si farà il proprio giornale. Nonostante le difficoltà dell’editoria on line, i notiziari su internet sono una fonte importante (ma certo non esclusiva) usata dagli utenti, soprattutto i più giovani, per ottenere notizie. Non più soltanto una singola fonte di notizie (come per esempio la Bbc) ma software di confezionamento come Google News, che consentono di organizzarsi il proprio giornale sulla base dei propri interessi.
5) L’informazione “pull”. Fino ad ora abbiamo parlato di informazione “push”,filtrata e proposta da operatori professionisti. C’è poi l’informazione “pull”, cioè quella che si estrae dalla rete. Ognuno ha accesso a una grande massa di notizie e commenti attraverso i blog, cioè in sostanza attraverso milioni di diari scritti in rete da altri utenti: annotazioni o filmati che contengono notizie altrimenti introvabili, che possono essere di ottima o di infima qualità: in rete, come si sa, si trova di tutto e bisogna sapere a chi credere.
6) I filtri per selezionare l’informazione. Per usare l’informazione dal basso senza esserne soffocati abbiamo bisogno di filtri. Il primo di questi è l’algoritmo del motore di ricerca: se cerco un nome, google o sistemi simili ci presenteranno innanzitutto le pagine più segnalate da altre pagine che contengono quel nome, che presumibilmente sono le più attendibili. E’ questo, per esempio, il meccanismo che fa sì che tra le 28mila circa segnalazioni che riguardano il mio nome, Google metta al primo posto l’indirizzo del sito che pubblica questo blog.
Un sistema più sofisticato consiste nell’identificare noi stessi i blog o i siti che ci interessano e “abbonarci” ai loro aggiornamenti attraverso gli “rss feed” cioè dei software che ci dicono quando compare qualcosa di nuovo. Un ulteriore sistema è avvalersi di aggregatori (come Digg o Delicious) che ci indicano, per ciascun argomento, quello che gli altri utenti hanno considerato interessante.
7) Lo scambio di notizie tra utenti. I nuovi strumenti di social networking offrono ulteriori possibilità per accedere a pezzi d’informazione. Attraverso Facebook, per esempio, faccio circolare notizie o video; d’altra parte posso decidere se un video che mi viene segnalato merita di essere visto anche sulla base della attendibilità dell'”amico” che me lo segnala. Sistemi di comunicazione anche più sintetica come Twitter vengono usati per far girare segnalazioni di articoli e altro materiale interessante tra ricercatori o gente interessata allo stesso tema. Twitter è pensato per i cellulari e funziona anche come fornitore di notizie: le brevi segnalazioni che immetti sul sito non soltanto sono viste immediatamente da tutti i tuoi amici come su Facebook, ma sono anche accessibili a tutti gli utenti che cercano determinate parole chiave. Se segnali un evento e i tuoi amici inoltrano ai loro amici la tua segnalazione, o aggiungono ulteriori informazioni legate alla stessa parola chiave, si crea in breve un effetto valanga che può anche anticipare le agenzie ufficiali. E’ accaduto, per esempio, in occasione degli attentati terroristici di Mumbai.
8) Il computer non veicola soltanto contenuti brevi. Nel complesso, dunque, l’utente non avrà meno informazioni con il declino dei media tradizionali, ma le riceverà in modo diverso. Non è più vero che il computer induce a leggere solo testi brevi e sintetici: molte delle segnalazioni che circolano portano ad articoli ponderosi e approfonditi che vengono letti dopo averli stampati oppure, in futuro, sempre più attraverso l’uso di schermi elettronici portatili in grado di offrire qualità di lettura simile alla carta.
9) L’obiettività? La valuta l’utente. Con questo modo di fare informazione il concetto di obiettività diventerà ancora più sfumato. Nei media tradizionali esiste o dovrebbe esistere l’etica professionale del giornalista a garanzia del rispetto della verità e dell’uso corretto delle fonti. Ci sono organi professionali(come in Italia l’Ordine dei giornalisti) che dovrebbero garantire il rispetto di queste regole. Nessun giornalista (almeno in teoria) può inventarsi di sana pianta una notizia per vendere di più. Nel caso dei blog questo limite professionale non esiste. Ci sono bloggisti anche più corretti di molti giornalisti e altri che fanno un uso totalmente distorto e delirante dei fatti. La distinzione di qualità è totalmente affidata all’utente.
10) Opinione pubblica a compartimenti stagni? C’è il rischio che l’informazione diventi ancora più parcellizzata: oggi chi si appassiona allo sport o allo spettacolo ma non ha alcun interesse per la politica, se usa i media tradizionali, leggendo un giornale cartaceo o sentendo un telegiornale, s’imbatterà comunque in qualche notizia su come va il mondo. Domani riceverà solo notizie di sport o spettacolo, non saprà nulla al di fuori dei suoi settori d’interesse. Se avrà limitato l’informazione politica al suo leader preferito, difficilmente cambierà idea.
11) Come salvare il buon giornalismo. Ci mancherà dunque il giornalismo come noi lo conosciamo? Certamente sì. Come scrive lo stesso Shirky, “oggi i media cartacei fanno gran parte del lavoro di ricerca giornalistica, dalla copertura di ogni possibile aspetto di una grossa storia d’attualità al tran tran della cronaca del consiglio comunale. Questa copertura crea benefici per tutti, anche per chi non legge i giornali, perché il lavoro dei giornalisti della carta stampata è usato da tutti, dai politici ai pubblici ministeri, dagli ospiti di talk show ai bloggers”. Che cosa succederà se questo genere d’informazione si ridurrà drasticamente? “Non lo so. Nessuno lo sa”, risponde Shirky. Ma apre uno spiraglio. “La società non ha bisogno di quotidiani. Ha bisogno di giornalisti. Per un secolo, gli imperativi di rafforzare il giornalismo e di rafforzare i quotidiani sono stati connessi così strettamente da non potersi distinguere. Andava bene così, ma adesso la situazione sta cambiando sotto i nostri occhi e avremo bisogno di molti altri modi di rafforzare il giornalismo”. Quali modi? Come si potranno rafforzare le capacità professionali e la capacità di copertura degli eventi da parte di un esercito di “dilettanti trasformati in ricercatori e scrittori”? Shirky parla di sponsorizzazioni e donazioni. Si potrebbero anche immaginare altri strumenti più istituzionali e obiettivi: per esempio, analogamente alla convenzione (purtroppo oggi rimessa in discussione) che ha consentito a Radio radicale di garantire la copertura dei lavori del Parlamento, le amministrazioni potrebbero stanziare una certa cifra a favore dei blogger che garantiscono la copertura delle cronache locali. E’ solo un’ipotesi, ma qualcosa in questa direzione dovrà sicuramente avvenire.
12) Il valore economico del gratuito. La rivoluzione dell’informazione anticipa una problematica ben più ampia sulla creazione di valore. Gran parte della nuova informazione (i blog, le segnalazioni a rete) non hanno un corrispettivo economico: la gente scrive o segnala per il gusto di farlo. Eppure questa informazione crea valore. Tra un sistema economico che se ne può avvalere e un sistema che ne è privo c’è certamente una grande differenza. Le misurazioni dell’economia avevano già incontrato notevoli difficoltà nel secolo scorso, con lo sviluppo dell’economia dei servizi, certamente più difficile da misurare rispetto all’economia dell’acciaio o delle automobili. Ma ancor più complesso è il concetto di produzione (e quindi anche di Prodotto interno lordo) in un sistema nel quale ciò che si crea non ha un prezzo riconosciuto, né al momento della creazione, né al momento della fruizione. Per gli statistici si tratta di un cambiamento radicale, ma le implicazioni riguardano il concetto stesso di lavoro. Siamo alla vigilia di una grande rivoluzione economica, ma questa è un’altra storia e sarà bene riparlarne.

Post scritto dopo una conversazione con mio figlio Pietro, che peraltro non ha alcuna responsabilità sulle mie conclusioni

2 commenti

  1. Caro Donato, in fondo una sorta di giornalismo “on line” esisteva già, ma consapevole dei suoi limiti. Mi ricordo che c’erano colleghi incapaci di scrivere(e orgogliosi comunque del loro ruolo) che vivevano in questura e telefonavano alla bisogna. Il facitore scriveva il pezzo in una sorta di simbiosi come quella di Cirano e il suo bell’amico. Ora… Visualizza altro questa figura non esiste più, nel senso che l’informatore che vive in questura scrive tutto da solo il suo pezzo…promosso a redattore giudiziario. E a parte qualche ovvia eccezione ci sono molte capre in giro.Ecco,non vorrei che la catena capra-lettore di questo esempio fosse la sintesi del giornalismo on line odierno

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