In questa campagna elettorale i candidati alla guida del governo presentano tanti programmi, ma poche idee. I programmi sono promesse di leggi e leggine per modificare la situazione di questa o quella categoria: i contribuenti, i pensionati, i precari, le famiglie meno abbienti. Le idee sono (dovrebbero essere?) il contenitore generale dei programmi, la visione complessiva dell’evoluzione del Paese nella quale si collocano le iniziative specifiche che ogni schieramento vorrebbe realizzare nel prossimo quinquennio.
Con le promesse e i programmi si spera di guadagnare qualche voto, con le idee si rischia di perderne, perché le coalizioni elettorali sono in realtà piuttosto disomogenee: guai se davvero dovessero cominciare a discutere sui valori. E così non si discute di bioetica (Ferrara a parte, ma la sua atipicità è proprio l’eccezione che conferma la regola), assai poco di salvaguardia ambientale, ma anche, per esempio, dei modelli di equilibrio demografico: quanti immigrati vogliamo? Con quale politica di accoglienza? Mistero.
Ci sono però due aspetti che personalmente trovo molto interessanti e dei quali si discute, a margine della campagna elettorale, soprattutto grazie a due libri. LEGGI
“La paura e la speranza” di Giulio Tremonti affronta il tema dell’Europa e della globalizzazione. Riccardo Illy con il suo pamphlet “Così perdiamo il Nord“ha denunciato l’incapacità della classe politica di rispondere alle esigenze delle regioni settentrionali. Gli fanno eco, specularmente, le preoccupazioni di quanti, a cominciare dagli economisti della voce.info, denunciano la scarsa attenzione ai problemi del Mezzogiorno nel dibattito elettorale.
Europa e territorio: i due temi sono a mio giudizio strettamente legati e forse dal dibattito in corso si possono trarre alcune indicazioni valide al di là della scadenza elettorale.
Il primo punto, al centro della “paura” denunciata da Tremonti, riguarda la globalizzazione: la velocità con la quale dalla nascita del Wto in poi si è consentito alla Cina di accedere ai mercati mondiali, senza regole in nome del “mercatismo selvaggio”. Non so se si poteva fare diversamente, come sostiene Tremonti; quello che è certo, come lui stesso ammette, è che a questo punto non si può tornare indietro. Il miliardo di persone che in nome della globalizzazione oggi in Asia vive meglio non è certo disposto a sacrificarsi per i privilegi di quell’altro miliardo (noi) che comincia a vedere più danni che vantaggi dall’apertura dei mercati internazionali.
I mercati del futuro resteranno globalizzati. Ma questo non significa che non possano essere governati meglio. Tremonti auspica “una nuova Bretton Woods”, cioè un momento nel quale tutti i Paesi, come avvenne alla fine della seconda guerra mondiale, si mettano insieme per ridefinire le regole internazionali. Credo che si tratti di una semplificazione, ma che in qualche modo questo processo sia già in corso. Non nasce da un unico consesso internazionale, come Tremonti semplicisticamente propone, ma in una pluralità di sedi, come ho raccontato nell’articolo su East citato nel mio precedente post. Il punto più delicato di questo processo di costruzione della nuova governance è indubbiamente la finanza, anche perché nessuno riesce a capire le dimensioni della crisi che si è messa in moto dall’America. “Una nuova Bretton Woods” significherebbe definire anche l’assetto ottimale dei cambi tra dollaro, euro e renminbi cinese. L’obiettivo è necessario ma ancora lontano.
In assenza di adeguata governance internazionale, l’Europa deve rafforzare le sue difese. Anche le attuali regole del commercio mondiale consentono politiche di difesa dalla concorrenza sleale. Sono state applicate per esempio nel campo dei compressori su iniziativa del ministro del commercio estero Emma Bonino, lodata in ciò da Tremonti. Queste forme di protezione temporanea sono totalmente demandate all’Europa e non sono prerogative degli stati nazionali. Ma l’Europa è in grado di difenderci? Su questo punto Tremonti professa il suo europeismo con due proposte: il rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo e l’inizio di una vera politica economica comunitaria, finanziata da un debito pubblico europeo. Sfugge però all’interrogativo se questa Europa sia in grado davvero di darsi regole così incisive.
Io credo che l’alternativa sulla quale dovremo pronunciarci è tra una graduale maturazione dell’Europa a 27, attraverso la nuova bozza di Trattato concordata a Lisbona, con tempi lunghi ed esiti incerti (magari rifiutando questo Trattato e puntando più in alto, come sostiene il movimento Newropeans), oppure una cooperazione rafforzata nell’area dell’euro, forse più concreta, ma che creerebbe una Unione europea di serie A e una di serie B. Non mi sembra che i candidati alla guida di questo Paese esprimano idee concrete in materia.
In realtà nel Tremontipensiero “la speranza”, cioè la parte propositiva del suo libro, non è affidata a meccanismi istituzionali, ma a un rilancio dei valori. L’Europa cioè non si potrà riscattare se non sarà capace di stringersi attorno ai propri valori fondativi, a cominciare dalle “radici giudaico cristiane”. Lo snodo è difficilmente comprensibile, sembra una fuga in avanti. Ma qualcosa di vero c’è: non può esserci politica incisiva, in un continente democratico come l’Europa, se ai governanti manca l’appoggio del popolo. E il consenso non si costruisce solo sugli interessi monetari dei contribuenti, ma appunto su valori condivisi.
Che cosa può unire davvero gli Europei? In un continente che sempre più ha bisogno degli immigrati, il riferimento alle radici religiose è solo un modo di mettere dei paletti che tengono ben distinto “l’altro”. Ma i valori sui quali è necessario cercare la condivisione sono quelli del rispetto dell’altro, della solidarietà sociale, dell’uguaglianza tra uomini e donne. Anche quelli dell’orgoglio di appartenenza un Continente, a una Nazione, a una Regione, a un Comune, espressi dall’alzabandiera nelle scuole, come auspica Tremonti, ma solo se quel Continente, Nazione Regione o Comune avrà saputo far sì che tutti i cittadini che sul loro territorio vivono e lavorano si sentano parte della collettività.
Qui a mio avviso le tematiche tremontiane si saldano a quelle relative alla gestione del territorio toccate da Illy. Ci sono valori condivisi tra il Nord e il Sud dell’Italia? Per ora fermiamoci a questa domanda. Ne riparleremo.

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