La possibile secessione del Belgio rende più probabile anche una divisione dell’Italia. Non è una prospettiva auspicabile, anzi, sarebbe un disastro per molte regioni. Ma è tecnicamente più facile, oggi, sotto l’ombrello di Bruxelles e della moneta unica. E la voglia di divorzio potrebbe rafforzarsi anche tra gli imprenditori, perché oggi in economia non è più tanto importante disporre di un mercato unico nazionale, quanto piuttosto rispondere con un governo efficiente alle sfide della globalizzazione e all’aggressivo nazionalismo economico dei nuovi Paesi. Italy like Belgium? In a recent comment on the Belgian crisis, The Economist wrote: “Sometimes it is right for a country to recognize that a job is done”. States are changing all over Europe, and secessions are not necessarily traumatic as they used to be. See Czechoslovakia. In Italy the North and the South are more and more apart, so a “divorce” becomes possible, even if it’s frightening for most of the population.
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“I Paesi non sono eterni, a volte è giusto che si riconosca che hanno fatto il loro tempo”, ha scritto l’Economist a proposito del Belgio. Della divisione tra Valloni e Fiamminghi (più il distretto “europeo” di Bruxelles) si parla ancora poco sulla stampa italiana, anche se qualcuno ha segnalato il pericolo, vedi per esempio il Giornale. Ma in Europa è il tema del momento e l’Express suggerisce paradossalmente di vendere il Belgio all’asta su e Bay.
La prospettiva della disgregazione di quelli che una volta consideravamo gli Stati nazionali europei, ma che in realtà aggregano nazionalità, etnie, culture, interessi diversi, sarebbe stata fantapolitica quindici fa (vi ricordate quando sfottevamo la Lega ridendo su una falsa mappa con l’Italia divisa in Padania e Terronia?) ma sta diventano attualissima oggi.
I precedenti cominciano a diventare numerosi. Non solo il dramma della ex Yugoslavia, ormai divisa in sei Stati che probabilmente diventeranno sette, non solo la dissoluzione dell’Urss che ha anche messo in moto un processo di disgregazione all’interno dei nuovi Stati (ho scoperto solo ieri l’esistenza della Transnistria); la voglia di trasformare il federalismo in indipendenza serpeggia in molte aree d’Europa. L’esempio della Repubblica ceca e della Slovacchia dimostra che il processo può svolgersi senza grandi drammi, anzi che è meglio che avvenga prima che qualcuno ricorra alle armi.
Paradossalmente, l’ombrello europeo rende tutto questo molto più facile. Non c’è bisogno di inventarsi una moneta, grazie all’euro, né di attrezzare nuovi varchi doganali. Merci e capitali girano già abbastanza liberamente. Anche al quadro legislativo è garantita una certa omogeneità grazie ai burocrati di Bruxelles. La secessione diventa allora una questione eminentemente di politica di bilancio e di gestione dei servizi per i cittadini; ognuno si tiene i suoi soldi pubblici, tranne quanto si ridistribuisce attraverso le istituzioni europee; ognuno sceglie quanto tassare e le priorità nella spesa; quanto dedicare per esempio alle carceri rispetto agli ospedali.
Bisogna aggiungere, anche se può sembrare un ulteriore paradosso, che questo processo avviene in un momento in cui gli Stati indipendenti stanno ridiventando molto importanti, soprattutto sul piano economico (*). Ma proprio per questo devono essere omogenei. Le istituzioni globali, dal Fondo monetario al Wto, non contano più nulla; semmai si ritorna ad intese bilaterali o multilaterali d’area geografica gestiti dagli Stati. I nuovi Paesi in crescita, dalla Cina all’India. sono decisi a usare tutti gli strumenti politici per affermarsi nell’economia mondiale. Anche i fondi sovrani, nuovi strumenti d’investimento gestiti da alcuni Paesi in via di sviluppo grazie ai surplus di bilancio, stanno favorendo nei paesi industrializzati politiche nazionali di difesa delle proprie strutture produttive (e quindi un abbandono del liberismo duro e puro) per non passare dal “made in China” all'”owned by China”.
Un tempo si diceva che gli interessi economici avrebbero bloccato qualsiasi rischio di secessione per salvaguardare l’esistenza di un unico mercato nazionale. Oggi non è più così importante, anzi. La globalizzazione impone di accelerare le riforme per essere competitivi; le grandi sfide di questo secolo, dai cambiamenti di clima alle migrazioni, dalle politiche energetiche alle difficoltà strutturali del dollaro, richiedono governi forti ed efficienti. Altrimenti aumentano le spinte centrifughe. Ma un governo può essere forte ed efficiente solo se nel Paese esiste un consenso di fondo e la capacità di esprimerlo attraverso il sistema politico.
L’Italia non ha né l’una né l’altra di queste caratteristiche. Sul sistema politico stendiamo un velo pietoso: siamo costretti a sperare in un referendum un po’ folle pur di cambiare qualcosa. E sull’omogeneità dei valori, degli stili di vita, dei comportamenti, senza fare tante citazioni rimandiamo alle belle trasmissioni televisive e ai libri che documentano come il Nord e il Sud si stanno divaricando ancora di più. Del resto i dati statistici ci dicono che l’Italia è l’unico Paese europeo dove il divario tra regioni ricche e regioni povere in termini economici e sociali sta aumentando anziché diminuire.
I politici col naso più fino queste cose cominciano a capirle e credo che ciò spieghi il cambio di tono di Umberto Bossi che è tornato a parlare di secessione, ma al tempo stesso cerca di intavolare una trattativa con Roma. Ma anche se i fucili più volte minacciati restassero solo metaforici, la secessione italiana non sarebbe comunque un processo indolore e per questo si dovrà fare di tutto (di tutto, s’intende, tranne il suicidio collettivo) perché non avvenga. In una divisione i prezzi sarebbero altissimi. E’ vero che la Repubblica del Nord diventerà una delle zone più ricche d’Europa, ma la Repubblica del Sud partirà con una zavorra spaventosa in termini di clientelismo e malavita, oltre che con notevoli sacche di povertà e mancanza di lavoro. Forse di Italie a quel punto ne nascerebbero almeno tre, perché è probabile che le regioni del centro non sarebbero disposte né ad andare con una Padania nella quale almeno all’inizio i seguaci di Bossi e della Brambilla la farebbero da vittoriosi padroni, né con una Terronia al fondo della scala europea in tutte le classifiche economiche e sociali.
Non so che cosa accadrà, in questo Paese sempre più disomogeneo, ma la storia procede per salti. Nessuno era in grado di prevedere le conseguenze della morte di Tito e della caduta del Muro, anche se c’era chi presagì il collasso. Anche la caduta della Prima repubblica si consumò nel giro di pochi incredibili anni. Se non si cambia in fretta, la dissoluzione della Seconda rischia di essere ricordata sui libri di storia non solo perché una casta politica sarà mandata a quel paese (con la p minuscola), ma perché l’Italia ridiventerà “soltanto un’espressione geografica”, come diceva forse giustamente Klemens Von Metternich.

(*) Di grande interesse, a questo proposito, il dibattito coordinato da Roberto Ippolito sul libro di Mario Baldassarri e Pasquale Capretta “The world economy toward global disequilibrium” promosso da Economia Reale. Jean Paul Fitoussi, Marcello De Cecco, Paolo Guerrieri, Gustavo Piga e Paolo Savona si sono trovati d’accordo nel diagnosticare il rinascente nazionalismo economico e nel lamentare l’impotenza dell’Unione europea nell’attuale configurazione: un’impotenza che si spera un giorno di superare, ma che intanto rafforza il bisogno di efficienti Stati nazionali.

12 commenti

  1. Ciao Donato

    riporto il mio commento già inviato in privato, anche se nel frattempo hai addolcito i toni
    attenzione perchè un pubbligo meno accorto potrebbe prenderti per un fautore di bossi
    ma come, qui aumentano di giorno in goirno le bandiere belghe alle finestre (qui a Bruxelles), e tu inciti un federalismo in Italia?
    ti assicuro che milanesi e palermitani hanno comunque molte più cose in comune di fiamminghi e walloni
    cio’ detto, mi piacerebbe un tuo pezzo sul caso Stasi
    parliamone, di questa ennesima farsa mediatica, dopo il consueto omicidio di ferragosto….
    ciao

    Cristina

  2. Cara Cristina, grazie per aver riportato tu il commento che mi avevi già espresso a voce, perché in questi giorni non riesco ad aggiornare il blog con la frequenza che vorrei mantenere. Nel merito, risponderò spero oggi stesso con un post.
    Sul caso Stasi, perché non fai tu un post? Ne sai certamente molto di più e sarò felice di pubblicarlo qui ed eventualmente su Terza Repubblica.

  3. caro Donato

    Grazie per la risposta. In realtà mi interessa la tua opinione sull’aspetto “mediatizzazione” del caso Stasi, non tanto sul fondo, sul quale non mi permetterei mai di dare un giudizio.
    è già tanto difficile farsi un’opinione in un caso che si segue in prima persona, figurarsi sul classico omicidio estivo, inquinato dall’eco mediatica e dai commenti di pseudi-criminologi ed esperti.
    un bacio

    Cristina

    RISPOSTA:’hai detto: mi sembra unn classico omicidio estivo, inquinato dall’eco mediatica e dai commenti di pseudi-criminologi ed esperti. Non sappiamo chi è  stato. Ma il ragazzo risulta antipatico, come ho letto da qualche parte, perché è bocconiano, freddo, riservato e non si lamenta. Quindi è colpevole di fronte al tribunale dei telespettatori.

  4. In realtà l’italia è sempre stata divisa e sempre lo sarà.

    E’ composta da popoli diversi, con storie diverse e che, anche oggi, non hanno obiettivi culturali, economici e di sviluppo comuni.

    Prima ne prendiamo atto, meglio è per tutti.

    Un’altra forma di stato aiuterebbe ad espremere meglio ogni regione o area.

    L’attuale forma di amministrazione dello stato è mantenuta tale solo per garantire l’assistenzialismo al Sud senza il quale affosserebbe (per qualche anno).

    Sono certo che in assenza di denaro garantito, il Sud saprebbe reggersi sulle proprie gambe nel giro di un decennio o poco più.

  5. Io credo che la secessione sia una forma di indennizzo,sia per il nord che per il sud, per quella tragedia che fu l’unificazione d’italia.
    Credo che il nord sia disposto ad accollarsi tutto il debito pubblico italiano pur di andarsene e raggiungere la liberta’ e che il sud possa diventare maggiorenne quanto prima: quando necessita’ impone ci si ingegna per crescere.
    Speriamo che questo accada ma temo che non accadra’ mai. I settentrionali si muovono solo se fanno la fame e non siamo ancora a questo punto e francamente non vorrei neanche arrivarci.
    Il problema è che i primi a non meritarsi la Padania sono proprio i padani, gente senz’anima, solo soldi e lavoro.
    Rispetto invece per i meridionali che hanno trovato nel nord l’america (impieghi pubblici ed emigrazione al nord senza troppi disagi) e hanno saputo sfruttare tutto cio’ a loro favore. Pero’ si è tirato troppo la corda e se si svegliano i …bergamaschi.
    salutissimi

    Risposta. Limito il commento a un punto: il debito pubblico. Per quanto operosi ed efficienti possiamo immaginare che siano i settentrionali, non credo che si possano accollare un debito pubblico che diventerebbe (calcolo a spanne) almeno il 150% del loro Pil. Non dimentichiamo che il debito ha un costo in termini di tassi d’interesse. Se i tassi dovessero salire, per il Nord da solo diventerebbe un onere da bancarotta. Ma quello del debito è solo uno degli innumerevoli problemi che si creerebbero con la secessione. 

  6. Gli amici legoidi si mettano il cuore in pace, perchè la situazione del Belgio è totalmente diversa da quella dell’Italia: lì ci sono realtà relativamente molto diverse, non come in Italia dove si parla la stessa lingua e dove solo una piccola minoranza della popolazione (appunto i leghisti) crede alle fesserie dei popoli diversi e della “Padania”.

  7. Salve Art,

    Prima di entrare nel merito della questione, gradirei informarla su alcuni errori di sintassi e ortografici da lei commessi:
    -) lei usa due termini per identificare un gruppo di persone (legoidi e leghisti): cosi’ facendo commette una contraddizione .
    -) dire “relativamente molto diversi” è un’altra contraddizione di termini.
    Posso darle un consiglio? Prima di ritenersi un “patriota” italiano, vada a lezione di italiano.

    Passiamo ora al merito della questione, ai fatti cioè, e mi conceda un piccolo commento sulle palesi inesattezze da lei affermate:
    -)oggigiorno la lingua non è piu’ come in passato un elemento unificante di una comunita’
    -)la piccola minoranza di cui parla lei è molto piu’ estesa: in “Padania”, un sondaggio di qualche anno fa evidenziava che il 25% era
    favorevole alla secessione, un’altro 30% la giudicava auspicabile.
    -) ambire alla secessione della “Padania”, in un momento storico dove i grandi stati nazionali sono in crisi, non è una fesseria perche’
    tutti gli studi di statistica (economici,sociali,culturali e financo etnici) evidenziano come l’Italia sia profondamente divisa in due.
    Pensare di riparare all’errore di Garibaldi, non è pertanto una fesseria ma un elemento di giustizia.

    Passiamo ora al lato “romantico” della questione:
    Potrei condividere con lei il sentire che la secessione sia un fatto traumatico e conflittuale (in realta’ non lo penso), tale per cui sia meglio non farla.
    Se lei è democratico e accetta il dialogo non avendone paura, non puo’ impedire ad altri di parlarne con sobrieta’ e soprattutto con conoscenza della questione, diversamente da come fa lei coi luoghi comuni, con grossolani errori culturali e con qualche problema con la sua lingua natale.

    Saluti
    Aristarco Battistini

  8. Update Belgio:
    intanto pare che in Belgio ci stiano riuscendo…. altro che 4 gatti integralisti, qui si rischia davvero la secessione!
    alla faccia delle bandiere, degli sforzi di Yves Leterme (peraltro molto criticato) e perfino del re (ieri tutti a colloquio da sua maestà).
    Tristezza…
    ma la situazione qui è talmente diversa da quella italiana
    Caro battistini, la vita reale è diversa dalla statistica – vedasi la storia del paniere Istat. In realtà almeno su una cosa siamo profondamente uniti: gli episodi di violenza legati al calcio.
    Ieri, da nord a sud, assalti ai commissariati e cassonetti bruciati in onore di un tifoso che da vivo era considerato un avversario e da morto un martire
    Che tristezza, di nuovo…..

    Cristina

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