Compiere 65 anni, quando si è in buona salute, si è circondati da persone che ti vogliono bene, si gode di una pensione adeguata, non è poi così male. La prima cosa che ho scopertoStatistics tell us that living after 65 years is like a Russian roulette: on the average you will live for 16 more years, but this just means that you have a 50% chance of dying before and 50% after that limit. How do you get the best from life under these conditions? I wrote down a few answers, for myself: no regrets, choose only what is important for you, have a general design of how you want to “grow” in the next years.
è che ora posso entrare gratis in quasi tutti i musei… Ci sono tante cose che vorrei fare, vuoti culturali da colmare, idee da scrivere, tecniche da apprendere, luoghi da vivere…
I pensieri si affollano, all’indomani del mio compleanno. Però la mia propensione per la statistica mi fa anche pensare che adesso ho una speranza di vita di 16 anni. Metti pure che siano 18 o anche 20, considerando le mie caratteristiche individuali, sono comunque pochi. Soprattutto perché la speranza di vita significa soltanto che ho il 50% di probabilità di morire prima e 50% di morire dopo quella soglia limite.
Ecco, il vero problema della vita nella “terza età” è che è una roulette russa. Anno dopo anno, le probabilità di morte aumentano. Ti dicessero “tu morirai tra sedici anni”, beh uno si organizza, decide che cosa val la pena di fare e che cosa è meglio lasciar perdere, si fa un po’ di programmi: come passare le prossime 16 estati, come scegliere i circa duecento libri per il tempo libero, magari anche quando cominciare a distaccarsi dalle cose terrene per non soffrirne troppo al momento del gran passo…
Invece non funziona così. E allora bisogna essere pronti a un distacco più vicino. Non ho fatto il conto esatto, ma se anche le probabilità di morte nei prossimi cinque anni fossero solo del 10% non sarebbero comunque poche: comunque superiori a quelle di un soldato in prima linea in una battaglia particolarmente pericolosa. Ma bisogna anche essere pronti a una lunga sopravvivenza; ed è altrettanto difficile. Ho sempre nell’orecchio la raccomandazione di uno dei miei primi capi e maestri. E’ andato in pensione a poco più di 50 anni e adesso che ne ha più di 80 mi dice: attento che la vita può essere molto lunga…
Insomma, bisogna riempirla di cose belle, questa terza età. Che diano soddisfazione, approfittando della libertà dal lavoro e dalla cura quotidiana dei figli ormai cresciuti, e che abbiano un senso qualunque sia l’esito della roulette russa… Ma come? Io qualche idea me la sono fatta e provo ad esporla, ben cosciente che si tratta di consigli che valgono per me stesso, ma che probabilmente dicono poco agli altri.
1) Non inseguire i ruoli del passato. Come molti giornalisti, talvolta sogno le riunioni di redazione: quel momento bellissimo, di scambio di informazioni e di idee, nelle quali viene concepito il nuovo giornale, con il vantaggio, rispetto a tante altre infruttuose riunioni di lavoro, che un giorno o una settimana dopo il prodotto sarà già pronto e si vedranno i frutti di quello scambio. Ecco, questo è certamente finito. Così come è finito il glamour, la “visibilità” che ti garantisce la professione. Si possono avere ancora attimi di attenzione scrivendo un buon articolo o un libro indovinato. Ma bisogna scriverlo, l’articolo o il libro, perché quella è la cosa giusta da scrivere, non per soldi o per ricerca di fama perché si sarebbe inevitabilmente delusi.
2) Non farsi intrappolare dalle routine improduttive. Mi accorgo per esempio che una quantità crescente del mio tempo è assorbito dalla necessità di capire le novità che mi sono imposte dalle nuove tecnologie. E’ anche un modo di tenere sveglia la mente, ma c’è un limite, così come c’è un limite nel tempo passato a fare parole crociate, sudoku o altri passatempi consigliati agli anziani. Una cosa è fare i salti tecnologici fondamentali. Per esempio, da poco sono passato da Windows a Apple e ho accettato di buon grado i disagi iniziali che questo mi ha comportato. Altra cosa è subire i meccanismi di “trial and error” che l’informatica ti impone, in mancanza di manuali facilmente consultabili. Faccio un esempio. Come forse hanno visto i sette lettori del mio blog, da qualche giorno, per motivi sconosciuti, le accentate così frequenti in italiano nei miei testi sono state sostituite da altri strani segni. Per risolvere il problema dovrei tentare tutti i pulsanti disponibili, fare ricerche su google, magari consultare qualche forum tecnico. Questo meccanismo, che per i più giovani è una procedura abituale, diventa un grande spreco di tempo. Mi rifiuto, ho cose più importanti da fare.
3) Non “lavorare” più, ma accettare solo incarichi che mi danno soddisfazione. Capita (ancora) abbastanza spesso che si voglia utilizzare la mia esperienza in campi dei quali attualmente non mi importa assolutamente nulla. Mi sono riproposto, dopo i miei 65 anni, di dire no con fermezza. Ma qual è la discriminante tra lavori utili e non utili? Me lo dice l’istinto: può trattarsi dell’utilità generale, dell’occasione che certi incarichi offrono di trasmettere conoscenze ai giovani (una delle cose che per me restano più belle), della qualità delle persone con le quali dovrei lavorare. Insomma, bisogna essere più selettivi, per non trovarsi a dire “ma io che cosa ci faccio qui?”.
4) Avere un disegno generale. Questo è forse il punto più difficile. Per anni, dopo essere andato in pensione, ho pensato che fosse sufficiente “lavorare per progetti”, prendere impegni a tre o a sei mesi e cercare di portarli a termine nel migliore dei modi. A un certo punto però ci si rende conto che la vita, anche quella parte di vita che rimane dopo aver tirato su i figli e aver dimesso gli obblighi di lavoro, deve avere un senso importante, se non altro perché questo enorme privilegio che ci è stato concesso, di essere benestanti, sani, ragionevolmente felici, in un bel paese, comporta anche degli obblighi verso gli altri. Non è necessario essere cristiani e neppure credere in Dio per avvertire il valore della parabola dei talenti. Già ma qual è il proprio disegno? Se ci penso, me lo immagino come un albero, che ha continuamente nuove ramificazioni (le occasioni di ricerca e di impegno) e rami che invece diventano secchi e bisogna lasciar cadere. L’importante è che cresca: nell’esplorazione del mondo che ci circonda e di quello che lasceremo alle prossime generazioni, nella disponibilità verso gli altri, nella conoscenza di se stessi.
5) Essere indulgenti. Il bisogno di un disegno generale non significa che si debba portare il cilicio, anzi. Bisogna lasciar spazio alla gioia di vivere, alle cose che oggi si possono fare e magari domani non più (l’amore, la barca, i viaggi più difficili…) essere attenti alle necessità del corpo e non mortificare lo spirito. Troppo spesso si vedono vecchi che non accettano quello che sono diventati e si mostrano anche rancorosi verso il prossimo. E’ difficile amare gli altri se non amiamo noi stessi.

2 commenti

  1. Grazie Sig. Donato, per il suo suggerimento …Bisogna lasciar spazio alla gioia di vivere, alle cose che oggi si possono fare e magari domani non più (l’amore, la barca, i viaggi più difficili…) essere attenti alle necessità del corpo e non mortificare lo spirito. Troppo spesso si vedono vecchi che non accettano quello che sono diventati e si mostrano anche rancorosi verso il prossimo. E’ difficile amare gli altri se non amiamo noi stessi.

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