Il libro “2030 La tempesta perfetta”, che ho scritto per Rizzoli con Gianluca Comin, ha avuto una buona accoglienza. È un testo che cerca di delineare i possibili scenari per i prossimi vent’anni e tocca temi che spaziano dalla demografia all’ambiente, dalla politica all’economia, con grande attenzione anche ai comportamenti dei consumatori e al ruolo della comunicazione. Quasi un anno dopo l’uscita del libro, nel corso di un incontro alla Sapienza insieme a Gianluca e su invito del direttore del Dipartimento di management Alberto Pastore, ho cercato di presentare una sorta di bollettino meteorologico sull’avvicinarsi delle nubi che minacciano il nostro mondo. Potete vedere il powerpoint presentato in quell’incontro. Fotografa alcuni aspetti dei problemi descritti nel libro che si sono resi più evidenti nel corso dell’anno: i fenomeni meteorologici estremi e le preoccupazioni per il riscaldamento del Pianeta, la faticosa evoluzione della governance globale che non riesce ad affrontare i problemi dell’umanità in modo efficace, i vivaci dibattiti che si sono aperti su molti punti toccati dal libro. Dibattiti, bisogna dire con onestà, molto più vivi nel resto del mondo e seguiti distrattamente in Italia, nonostante il nostro sforzo di sensibilizzazione: da noi è difficile che l’attenzione pubblica spazi oltre le prossime elezioni e la crisi economica attuale. Crisi certamente importante, ma che andrebbe anch’essa inquadrata in un contesto di cambiamenti strutturali.
E adesso?
Per un giornalista ormai libero dagli impegni quotidiani di una redazione, viene naturale lavorare “per progetti”: un libro, un sito, un’iniziativa culturale. Con il mio blog Numerus sul sito del Corriere della Sera cerco di seguire alcuni dei temi che mi appassionano, quelli più legati all’evoluzione della statistica e ai suoi rapporti con la politica. Ma più passa il tempo più mi rendo conto della quantità di problemi che mi piacerebbe approfondire, possibilmente con una intensa interazione con altre persone che condividono gli stessi interessi. Provo a elencarne alcuni, quasi fossero buoni proponimenti di lavoro per il 2013.
- La tecnologia potrà salvarci oppure le innovazioni arriveranno troppo tardi e saranno comunque inapplicabili su scala globale per evitarci la “tempesta perfetta”?
- Come cambierà l’uomo per effetto della tecnologia? Quanto vivrà, come si integrerà con le macchine? Con quali divari tra chi avrà a disposizione queste possibilità e chi invece ne sarà escluso?
- Che ruolo avrà il lavoro? Se non ci sarà lavoro per tutti perché le macchine lo renderanno non necessario, quali saranno gli effetti sulle comunità umane? Come evitare spaventose diseguaglianze tra chi detiene le tecnologie, i know how e i capitali e tutti gli altri, apparentemente “sempre più inutili”?
- È ancora possibile correggere la curva demografica? Si può cioè con un’intensa opera di tipo culturale intervenire perché la popolazione del mondo si fermi alla cifra già altissima di otto miliardi di individui?
- Quali sono gli effetti ambientali dovuti al riscaldamento globale prevedibili nei prossimi vent’anni? Che significa avviarsi verso un mondo con un probabile aumento di temperatura non di due ma di quattro gradi?
- Quale tipo di crescita è davvero ipotizzabile in un contesto di risorse scarse, di beni contesi da popolazioni che vogliono consumare sempre di più? E quanto saranno davvero scarsi il petrolio e le altre materie prime di cui la nostra civiltà ha bisogno?
- Possiamo davvero puntare a uno “sviluppo immateriale”, che ci gratifichi senza espandere i consumi di beni? È’ davvero possibile far sì che i politici adottino parametri diversi dalla crescita del Prodotto interno lordo per migliorare il benessere dei propri concittadini?
- Quali obiettivi globali deve darsi il mondo? Con quali strumenti e quali istituzioni per evitare l’aggravarsi di guerre e violenza?
- Stiamo andando verso nuove forme di democrazia partecipata dai cittadini attraverso internet? O rischiamo che la partecipazione in rete si traduca in un aumento della demagogia e del populismo?
- Quale sarà il ruolo delle città, nelle quali si concentrerà gran parte dell’umanità? È davvero possibile razionalizzarne la crescita? E come si governeranno?
Vi prego, non sorridete. Mi rendo perfettamente conto che si tratta di questioni gigantesche, sulle quali si esercitano schiere di think tank in tutto il mondo. Come sempre nel mio lavoro giornalistico, non ho la pretesa di fornire risposte definitive, una pretesa che in questo caso sarebbe addirittura ridicola. Voglio solo mettermi in viaggio, per cominciare a esplorare il mondo di domani. E raccontare man mano quello che vedrò, a un Paese che discute solo del proprio ombelico e non capisce quello che gli sta capitando addosso.
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