Eventuali misure di finanza straordinaria, quali l’imposta patrimoniale proposta dal “Progetto delle imprese per l’Italia”, o il prestito forzoso delineato nella recente proposta Monorchio – Salerno devono essere innanzitutto destinate alla  riduzione del debito per abbattere lo spread tra titoli italiani e titoli tedeschi. Ma richiedono comunque una serie di condizioni preliminari. Ecco il testo del commento che ho pubblicato il 7 ottobre sul quotidiano Finanza e Mercati.

Una caccia alla volpe in piena regola, con cavalieri, cani e il cacciatore Obama che suona il corno; le prede sono i ricchi, donne ingioiellate e manager che fuggono con sacchi di soldi. Così l’Economist con la sua copertina “Hunting the rich” ha raffigurato la tendenza a imporre nuove tasse ai più abbienti, una tendenza che si sta diffondendo a seguito della necessità di abbattere i debiti sovrani e di reagire alle eccessive sperequazioni sociali che scatenano gli indignados di tutto il mondo. Il giornale inglese riconosce la necessità di contraddire la sua linea generalmente favorevole all’abbassamento delle tasse. Qualcosa bisogna pur fare, in questa situazione di crisi: negli Usa abolendo tutte le esenzioni che, come ha denunciato la stesso Warren Buffett (uno dei finanzieri più ricchi del mondo), consentono ai capitalisti di pagare meno tasse delle loro segretarie; in Europa,  valutando l’opportunità di introdurre una imposta “che sposti gran parte del peso dal reddito alla proprietà, in modo da raccogliere di più dai ricchi ma con meno impatto sulla loro disponibilità a correre rischi”.

La proposta del “Manifesto delle imprese” firmato da Confindustria e altre associazioni a favore di un’imposta patrimoniale (1,5 per mille all’anno sui patrimoni oltre 1,5 milioni per generare un reddito annuo di sei miliardi) s’inserisce dunque in un vasto movimento che nasce, se possiamo schematizzare, più da destra che da sinistra, per evitare che il sistema esploda. Il documento degli imprenditori propone un “prelievo annuale sul patrimonio delle persone fisiche ad aliquota contenuta e con una soglia di esenzione” da destinare “alla riduzione del prelievo diretto su imprese e persone”. “In alternativa”, afferma ancora il documento, “si renderebbe necessaria una rivisitazione della tassazione sui patrimoni immobiliari”.

La proposta imprenditoriale si presta a molte critiche, anche perché il prelievo dovrebbe riguardare le persone fisiche, generalmente più deboli sul piano patrimoniale, e non toccare le persone giuridiche. Ma l’obiezione più forte è probabilmente un’altra: nella situazione italiana, se si deve arrivare a qualche forma di prelievo forzoso, lo si deve fare non per ridistribuire l’onere fiscale, ma per abbattere il debito pubblico che in questo momento è il maggior problema del Paese. L’aumento dello spread tra titoli italiani e bund tedeschi varrebbe, se tutto il debito dovesse essere rinnovato ai nuovi tassi più alti, circa un punto di Pil per ogni punto di spread. Quattro punti di spread, in prospettiva, possono incidere per sessanta miliardi di euro, l’equivalente di una pesante manovra finanziaria. Il declassamento del debito italiano da parte di Moody conferma l’urgenza di questo obiettivo.

Come si riportano i tassi italiani più vicini ai livelli del bund tedesco? Con un contenimento della spesa pubblica e con politiche adeguate di crescita, in linea con le raccomandazioni della lettera della Bce all’Italia. Ma date le ben note difficoltà, può essere necessaria un’operazione di finanza straordinaria: una massiccia “operazione fiducia” che abbatta il debito pubblico italiano al di sotto del livello del 100 per cento del Pil impegnando nell’operazione almeno 300 miliardi di ricchezza pubblica e privata. Come si mette insieme una cifra così ingente, pari a cinque volte l’ultima manovra? Negli anni si sono succedute molte proposte: da quella dell’ex ministro Giuseppe Guarino, che progettò di mettere il patrimonio pubblico in una società per azioni da collocare sul mercato (il ricavato sarebbe andato ad alleggerimento del debito; ma la proposta sfiorì con la crisi delle borse) a quella più recente illustrata dall’ex ragioniere dello Stato Andrea Monorchio e dall’ex direttore della Fondazione Bordoni Guido Salerno Aletta per “italianizzare il debito” inducendo (o meglio costringendo) gli italiani a sottoscrivere speciali titoli di stato con rendimento ancorato al tasso di riferimento della Bce (attualmente l’1,5%) con la garanzia di non essere gravati da ulteriori oneri.

La proposta Monorchio – Salerno sarebbe un’alternativa alla patrimoniale, forse meno sgradita (si tratterebbe comunque di un prestito anziché di una imposta), ma per funzionare avrebbe bisogno di due condizioni, riconosciute dagli stessi autori. Innanzitutto può essere applicata soltanto da uno Stato che ha raggiunto il pareggio di bilancio, quindi non prima del 2013. In secondo luogo deve essere accompagnata o meglio anticipata da un’operazione di pari entità di smobilizzo del patrimonio pubblico, un tema del quale oggi si parla tanto, ma sul quale si fatica a vedere prospettive rapide e concrete. C’è poi una terza condizione: un assetto politico stabile e credibile, senza il quale ben difficilmente si può fare appello al Paese per un sacrificio straordinario. Lo ha detto anche il ministro Tremonti nella conferenza stampa al termine dell’Ecofin, spiegando che il minore spread dei titoli spagnoli è dovuto al fatto che in Spagna si vota e quindi c’è una “apertura al futuro”. Tremonti ha poi negato il confronto con l’Italia, ma anche le doppie verità dei membri del governo sono parte del problema.

Donato Speroni

Pubblicato da Finanza & Mercati il 7 ottobre

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