Abbiamo già segnalato che molti Paesi, compresa l’Italia, si stanno muovendo in linea con le indicazioni della Commissione Stiglitz per determinare come misurare il Bes, benessere equo e sostenibile, cioè per misurare il progresso “Oltre il Pil”, prodotto interno lordo. Ma forse non tutti si sono accorti che in questo campo si è determinato un asse francotedesco, con un rapporto fresco di stampa che già ci dice come dovrà essere il cruscotto dei nuovi indicatori e che cosa non bisogna fare.

Il rapporto è stato commissionato nel febbraio scorso dal Consiglio dei ministri franco-tedesco, uno strumento della cooperazione rafforzata tra i due Paesi, al German Council of Economic Advisers e al Conseil d’Analyse Economique, i due più importanti centri governativi di ricerca socioeconomica. (A proposito, l’Italia non dispone più di questo strumento, da quando è stata decisa la chiusura dell’Ispe, l’Istituto per gli Studi di Programmazione Economica che dipendeva dal Ministero dell’Economia). La domanda rivolta agli esperti da Sarkozy e dalla Merkel è stata in pratica questa: “Come portare avanti congiuntamente le proposte della commissione Stiglitz?”.

Il 10 dicembre è stato diffuso il documento conclusivo “Monitoring economic performance, quality of life and sustainability”, che non si limita ad alcune considerazioni metodologiche, ma arriva a conclusioni nette.

1) Esclude la possibilità di un unico indicatore composito che sostituisca il Pil: “La prima e probabilmente più importante conclusione del nostro studio è il riconoscimento dell’insufficienza, e quindi l’abbandono, di qualsiasi approccio alla misura del progresso umano attraverso un singolo indicatore. In poche parole, la vita è troppo complicata e gli interrogativi cui deve rispondere il reporting statistico sono troppo diversi per consentire di condensare la situazione corrente innun unico indicatore onnicomprensivo. Un indicatore di questo tipo avrebbe il pregio della semplicità, e sarebbe facile comunicarlo, ma non potrebbe soddisfare le domande informative delle moderne società democratiche. Invece, noi suggeriamo che un ampio reporting statistico debba condurre a un cruscotto di indicatori”.

2) Prende posizione contro l’utilizzo della misura del “subjective well being”, cioè del benessere complessivo, per farne poi discendere una serie di analisi sulle correlazioni con le diverse dimensioni (salute, sicurezza ecc.), perché considera questo approccio (tipico della scuola dell’economista inglese Richard Layard), troppo arbitrario e poco confrontabile in situazioni differenti.

3) Arriva anche a presentare un’ipotesi di cruscotto, articolato in tre settori: la performance economica (con sei indicatori tara i quali c’è il Pil pro capite, ma anche una misura di distribuzione della ricchezza); la qualità della vita con sette indicatori, la sostenibilità con dodici, che vanno dalla percentuale di Pil investito in ricerca e sviluppo alla biodiversità, misurata in termini di “bird index”, numero complessivo delle specie di uccelli presenti nel Paese.

Il “cruscotto francotedesco” vuole dichiaratamente essere uno strumento per misurare la strada verso il raggiungimento degli obiettivi di Europa 2020, la strategia globale dell’Unione basata su una crescita “intelligente”, “sostenibile” e “inclusiva”. Ci sembra il più concreto passo avanti dopo il documento della Commissione Stiglitz del settembre 2009. Se ne può discutere, ma certamente non si può ignorare.

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