L’astrologia non ha basi scientifiche, ma quando vediamo un oroscopo non resistiamo alla tentazione di guardare il nostro segno zodiacale. Succede più o meno la stessa cosa per i sondaggi pubblicati dai giornali: li leggiamo, esaminiamo i grafici, le variazioni magari di zero virgola qualcosa rispetto al passato, ascoltiamo chi li commenta.

Ma i sondaggi sono veramente attendibili? Parliamo ovviamente di quelli che hanno una pretesa di scientificità, basati su un campione d’intervistati selezionato secondo criteri statistici e che dovrebbero di norma descriverci un “universo” costituito dalla popolazione italiana maggiorenne. Non ci riferiamo ai sondaggi fatti dai giornali o dalle televisioni invitando il pubblico a rispondere, sia perché si tratta solo di un campione rappresentativo di quello specifico pubblico (è ovvio che quello dei lettori dell’Unità è diverso da quello del Giornale), sia perché chi è a favore o contro una determinata tesi può reagire diversamente, decidendo o no di partecipare.

Anche sui sondaggi telefonici ci sarebbe molto da dire, se non altro perché i dati elaborati riguardano soltanto quelli che accettano di rispondere, che in molti casi sono solo un quarto o un terzo degli interpellati. Il problema più grave, però, è che non vengono quasi mai descritti i margini di errore. Prendiamo per esempio il sito a cura del Dipartimento per l’Informazione della Presidenza del Consiglio. Il 3 novembre sono stati pubblicati i risultati di un sondaggio trasmesso su La 7 la sera precedente, compiuto per telefono su mille casi. La scheda non ci dice quanti sono stati in realtà i rispondenti e neppure i margini di errore. Ci informa solo sulle percentuali di voto, dal 28,8% del Popolo della libertà allo 0,3% dei Verdi.

Un po’ più correttamente, per un altro sondaggio pubblicato dall’edizione milanese di Repubblica il 30 ottobre e relativo alle primarie che si terranno per la scelta del candidato di centrosinistra in città, ci si dice che hanno partecipato 800 persone che hanno dichiarato l’intenzione di partecipare alle primarie e si specifica che con un livello di affidabilità del 95% il margine di errore è dell’1,8%.

Che cosa significano queste due percentuali? Che c’è una probabilità del 95% che i dati veri siano compresi in una “forchetta” dell’1,8% in più o in meno rispetto al dato presentato. C’è insomma una probabilità su venti che il sondaggista sia stato particolarmente sfortunato nella scelta del suo campione, ma suvvia possiamo sperare che questo non sia accaduto e che il margine di errore sia solo dell’1,8%.

Per gran parte dei sondaggi presentati sui giornali, il livello di affidabilità dei dati è del 95%, ma il margine di errore arriva al 2 o addirittura al 3%.

Non ha dunque alcun senso brindare sulla variazione in due settimane consecutive del partito X, magari dal 2 al 3%, o piangere sulla perdita di un 1% del partito Y. I sondaggi ci danno informazioni preziose, ma non quelle che ci aspettiamo. Ci dicono la dimensione di massima del consenso (per un partito al 30% un margine di errore del 2 ha un significato limitato, per un partitino rende il dato irrilevante) e ci dicono nel tempo come questo consenso si evolve: di fronte a una serie di sondaggi (non due soltanto) che costantemente indicano un trend, è legittimo credere che il campione rispecchi le tendenze effettive dell’elettorato.

La materia dei sondaggi è delicata, politicamente scottante; giustamente la legge indica una serie di prescrizioni sul loro uso e prescrive la pubblicità sulla metodologia, affidando all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di vigilare. Le informazioni sui sondaggi politici nel sito gestito dalla Presidenza sono estremamente carenti. Un po’ meglio quelle sugli altri sondaggi, sepolte in una pagina quasi irraggiungibile del sito dell’Agcom e che comunque sono molto meno numerose di quelle che si pubblicavano in passato. Ora l’Agcom sta elaborando un nuovo regolamento e ha messo on line la bozza: sarà bene esaminarla a fondo.

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