Il dibattito sul cosiddetto “superamento del Pil” rischia di cadere nelle trappole dei preconcetti culturali ed ideologici. Da una parte i gruppi anticapitalisti che vedono l’origine dei mali della società moderna nella misura del progresso basata sul prodotto interno lordo; dall’altra i cultori di economia e gli operatori che faticano ad immaginarsi parametri più adeguati per il ventunesimo secolo.

Non sfugge a questi rischi il commento di Alberto Alesina: “Aridatece il vecchio Pil, tanti difetti, ma utilissimo”, pubblicato dal Sole 24 Ore del 15 dicembre. Alesina insegna ad Harvard, è un economista di grande prestigio, autore di proposte coraggiose e innovative per riformare la società italiana, ma in questo caso, a mio avviso, si è fatto prendere la mano da un certo schematismo.

Dopo aver descritto ampiamente le difficoltà di tutte le misurazioni del benessere alternative al Pil pro capite, il professore così conclude: Il presidente francese Nicholas Sarkozy recentemente ha provato a inventare una nuova misura di benessere, aiutato da un’ottima commissione di esperti. Viene però spontaneo chiedersi se l’obiettivo vero di Sarkozy non fosse quello di rivalutare senza fatica il benessere francese rispetto, soprattutto, a quello americano. In ogni caso queste nuove misure fanno parlare di sé per qualche settimana ma non possono andare troppo lontano, per i problemi citati. Insomma il buon vecchio Pil, con tutti suoi gravi difetti, è difficile da sostituire. Teniamocelo.

Si tratta di una conclusione che sottovaluta il lavoro in corso in tutto il mondo per trovare nuovi indicatori di benessere: non solo da parte della commissione Stiglitz – Amartya Sen – Fitoussi per conto del presidente francese, ma anche il percorso compiuto sotto l’egida dell’Ocse nei grandi incontri su “Statistics, knowledge and policy”, da Palermo nel 2004 a  Busan, in Corea, nel 2009.

Nel dossier che ho predisposto per East, Europe and Asia Strategies, accessibile da qui in italiano (parte prima e seconda)  e in inglese (parte prima e seconda), ho cercato di raccontare questo “work in progress”, che ha già ottenuto risultati molto interessanti. Economisti, statistici, sociologi e psicologi che lavorano su questi temi non si sognano di smettere di misurare il Pil, che resta la miglior misura della ricchezza prodotta da un Paese, anche se gli addetti ai lavori sono i primi a segnalarne i limiti, soprattutto in un’epoca in cui buona parte della produzione è fatta di servizi e beni immateriali. Cercano soltanto di corredare il Pil pro capite, che è un po’ come il pollo di Trilussa, anche con altre misure: la effettiva distribuzione della ricchezza, il benessere percepito dalle persone, il consumo dei beni ambientali,

Di questo processo, dopo le indicazioni politiche scaturite lo scorso anno dal rapporto Stiglitz, dal documento Beyond Gdp dell’Unione Europea, e dal vertice di Pittsburgh, si comincerà a parlare anche in Italia, su iniziativa del nuovo presidente dell’Istat Enrico Giovannini, del presidente del Cnel Antonio Marzano, ma anche dei radicali perché Emma Bonino ed Elisabetta Zamparutti hanno inviato una lettera ai presidenti delle commissioni Ambiente ed  Economia di Camera e Senato chiedendo di affrontare il tema. Forse non se ne farà nulla, perché gli altri parlamentari hanno ben altro per la testa, ma di superamento del Pil si discute in tutto lo schieramento: se n’è parlato di recente in un convegno della fondazione Unipolis e si parlerà tra poco in un incontro dell’Aspen.

Insomma, caro professor Alesina, questo non è un tema che sfiorisce “in qualche settimana”. E’ invece il cuore del dibattito per il progresso della statistica economica e sociale e non merita di essere irriso o minimizzato.

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