Quasi nessuno si è accorto che la Corte di Giustizia europea ha deciso a favore dell’equiparazione dell’età pensionabile per uomini e donne. L’Italia non potrà ignorare questa sentenza, perché rischia di pagare penali molto elevate. Il precedente governo, con Emma Bonino, aveva indicato un percorso graduale per risolvere questo problema ed investire nelle politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia al fine di aumentare l’occupazione femminile.
E adesso? Il 13 novembre la Corte di giustizia europea ha depositato la sentenza che ha sancito la violazione del Trattato europeo in materia di parità di trattamento tra uomini e donne perché il regime pensionistico dei dipendenti pubblici stabilisce un’età diversa per andare in pensione per uomini (65 anni) e donne (60).
Mi sembra che soltanto il Sole 24 Ore abbia dato notizia di questa sentenza, anche se le conseguenze saranno dirompenti sull’intero sistema pensionistico. La sentenza riguarda soltanto i trattamenti Inpdap, ma è previsione generale che nuove procedure d’infrazione potrebbero essere avviate anche per gli altri regimi pensionistici, arrivando ad investire tutte le lavoratrici. Con Emma Bonino, quando Emma era ministro delle politiche europee, ho lavorato nel 2007 alla redazione del rapporto “Donne, Innovazione Crescita”, Nota aggiuntiva al rapporto sull’attuazione delle politiche di Lisbona. Il rapporto individuava nell’occupazione femminile uno dei più gravi ritardi italiani rispetto agli obiettivi di sviluppo europei e sottolineava l’importanza del prevedibile esito sfavorevole all’Italia della sentenza europea sull’equiparazione dell’età pensionistica.
La Nota, trattandosi di un documento governativo che conciliava le posizioni di diversi ministeri, era piuttosto prudente su questo punto, Bonino fu anche più esplicita, facendo (in un articolo su Repubblica che fece molto discutere) il caso fantasioso ma realistico della “signora Pina”, svantaggiata dal pensionamento anticipato perché costretta a casa a fare la badante, a rischio di povertà per gli importi di pensione più ridotti che avrebbe percepito. Per la Bonino, in somma, il pensionamento anticipato non è un privilegio, ma uno svantaggio per le donne. La proposta scaturita da quel dibattito era semplice ed efficace: definire un percorso graduale di equiparazione dell’età pensionabile e destinare i risparmi previdenziali a un miglioramento delle “pratiche di conciliazione” cioè agli investimenti (asili nido, supporti agli anziani e altro) per aiutare le donne ad essere protagoniste nel mondo del lavoro.
La “Nota aggiuntiva”, presentata da Romano prodi nell’ottobre 2007, fu solo l’abbozzo di una politica, messa nel cassetto dal cambio di maggioranza del 2008.

Non ho notizia di che cosa intende fare il nuovo governo per affrontare questo problema urgente. Ma una cosa è certa: l’Italia non potrà ignorare la presa di posizione europea, perché rischia di pagare penalità calcolate in base ad ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della pronuncia.
E’ importante aggiungere che l’equiparazione dell’età pensionabile non sarebbe affatto una misura impopolare. Un sondaggio del Sole 24 Ore dimostra infatti che tre quarti degli interpellati sono a favore dell’equiparazione per tutti i contratti pubblici e privati e dell’utilizzo dei risparmi a favore delle politiche familiari, come appunto aveva proposto la Bonino.

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