Immaginate una comunità nella quale tutti sono collegati a internet, padroneggiano il computer e sono in grado di esprimersi sulla rete con libertà. Un’utopia? Non direi, se guardiamo a Paesi diversi dall’Italia, dove è meno grave il “digital divide” che separa gli informatizzati dal resto della popolazione, e se magari proiettiamo il nostro discorso in un futuro da qui a una decina di anni.
Una comunità del genere è, in teoria, nelle condizioni migliori per esprimere nuove forme di democrazia diretta e/o di rappresentanza: può per esempio affidare al voto dei cittadini, di tutti i cittadini, le nuove norme, oppure può consentire che in qualsiasi momento il cittadino con un click cambi il suo voto nell’assemblea elettiva che lo rappresenta, senza bisogno di attendere una scadenza elettorale.
Sono convinto (e credo di non essere l’unico a pensarla così) che queste forme di democrazia diretta oggi sarebbero un disastro. Il voto risentirebbe, come oggi avviene per i sondaggi, degli umori momentanei, del condizionamento dei messaggi televisivi, dell’avversione radicata verso tutte le forme del governare che sono necessarie, ma impopolari. Il meccanismo potrebbe forse funzionare per decidere quali semafori sono più urgenti, ma renderebbe impossibile l’adozione di politiche più complesse come per esempio una strategia fiscale.
Anche la possibilità di cambiare in ogni momento il proprio eletto farebbe prevalere la demagogia; quello che già oggi vediamo nei periodi preelettorali (più spese, più promesse, più clientelismo) diverrebbe il modo normale di far politica.
Queste riflessioni mi sono state suggerite dal “Bar Camp – esperimenti democratici“, l’interessante iniziativa promossa in questi giorni da Radio Radicale. Siamo nel bel mezzo di un paradosso. Non possiamo più limitarci a parlare di democrazia diretta attraverso i referendum o le proposte di legge d’iniziativa popolare: tutte cose meritorie, ma inadeguate, quando la tecnologia ci offre possibilità che nei prossimi anni stravolgeranno i meccanismi settecenteschi che regolano tuttora la democrazia. D’altra parte il suffragio universale, al quale nessuno certo pensa di rinunciare, si coniuga oggi con una cultura di massa basata sul luogo comune e sul rifiuto di ogni approfondimento faticoso.
Che fare? La democrazia diretta presuppone un modello culturale diverso, un’offerta d’informazione di qualità adeguata e una domanda d’informazione anch’essa di qualità da parte dei cittadini. Al Bar Camp, per esempio, il direttore di Critica Liberale Enzo Marzo ha messo l’accento sulla ricerca di nuovi meccanismi di difesa dell’autonomia dei media: economia, politica e informazione sono i tre principali poteri del ventunesimo secolo e solo separando chi fa informazione dal potere politico ed economico si potrà avere un’informazione di qualità. Ma forse, aggiungo io, questo non basta, perché i media stessi sono diventati un potere economico ed anche politico proprio perseguendo la cultura del luogo comune e della banalità. Faccio un esempio: la difesa dell’autonomia del direttore di una rete televisiva dal suo editore non è più una garanzia di qualità dei programmi, se poi quel direttore si limita a inseguire i modelli di Tv spazzatura che buona parte del pubblico sembra prediligere.
Un brutto pasticcio. Nessuno ha ricette certe per uscirne, però le nuove tecnologie che ci pongono la sfida della vera democrazia diretta forse aiuteranno anche a mutare il modello culturale. Qualcosa sta già cambiando.
Cambia il modello di business nell’informazione, perché sarà sempre più difficile finanziare giornali e televisioni con i tradizionali introiti pubblicitari e questo renderà la pubblicità meno condizionante nella scelta dei programmi da produrre per soddisfare il palato degli spettatori. La moltiplicazione delle reti facilita la produzione di programmi di qualità ma di basso costo.
Sempre più gente sceglie internet al posto della televisione, cambiando il meccanismo di accesso alle notizie. Si moltiplica l’offerta di notizie dal basso attraverso i blog e anche la capacità di scegliere i blog di qualità attraverso gli aggregatori, cioè software che segnalano i siti o le notizie di maggior interesse secondo il giudizio dei lettori: meccanismi per ora quasi sconosciuti in Italia, perché funzionano meglio su grandi masse di utenti, in inglese e a livello globale.
Grandi forze sono in gioco, insomma, e nessuno oggi è in grado di dire come sarà l’informazione del futuro. Ma l’evoluzione andrà seguita con grande attenzione, proprio perché è decisiva per costruire nuove forme di democrazia.
P.S. In questo periodo aggiorno raramente il mio blog perché sto lavorando su un progetto che assorbe gran parte delle mie energie. Mi scuso con i miei pochi lettori.
Linkato a www.fainotizia.it

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