Dopo quasi due mesi di navigazione su Phileas, la mia barca a vela, tra Turchia e Dodecaneso, torno al lavoro in Italia. Sul viaggio conto di scrivere qualcosa presto, ma su questo blog vorrei intanto annotare una riflessione: insomma, vogliamo o no i turchi in Europa? Non ho la presunzione di dare risposte ultimative, solo riflessioni nate da queste settimane di frequentazione di questo Paese, con la frequenza di contatti a cui costringe la gestione di una barca con l’organizzazione di diversi equipaggi, che diventa impegnativa come svolgere un lavoro.
Prima riflessione. LaTurchia ha indubbiamente due anime. A Bodrum, che è un po’ la Rimini del Paese, le discoteche smettono alle tre di notte, ma il muezzin comincia a salmodiare alle cinque del mattino. Non è il posto ideale per chi ama il silenzio. Le cubiste della discoteca Alicarnas si dimenano in vestiti succinti sui camion pubblicitari che attraversano continuamente la città, ma il volume della musica, come nei bar, si smorza quando arriva il richiamo dai minareti. Si vedono famiglie con donne velate e altre sbracciate che passeggiano insieme come se niente fosse.
Penso però che questo è un problema turco e non nostro, nel senso che non è questa la discriminante rispetto all’Europa. Credo che l’anima laica del Paese, erede del padre della patria Kemal Ataturk, può benissimo prevalere su quella confessionale, soprattutto se i laici non saranno lasciati soli nelle loro battaglie. E che milioni di donne turche sono decise a far valere i loro diritti contro le tendenze oppressive dell’islamismo.
Seconda riflessione. Quello che rende la Turchia molto lontana da noi non è la religione, ma l’eredità della burocrazia ottomana, perché Ankara presidia una struttura fortemente centralista. Qualche esempio: se entrate con un cellulare e volete una Sim turca, farete una complessa trafila di denuncia del telefonino, con passaporto ecc. per poi scoprire che dopo pochi giorni la Sim è stata bloccata e dovete ricominciare da capo. Se fate la spola con le isole greche (Kos è a sole cinque miglia da Bodrum!) ogni volta dovete ricomprare un dossier doganale come se la vostra barca entrasse in Turchia per la prima volta e passare mezza giornata a far pratiche. Se arrivate in macchina e vi allontanate anche solo per pochi giorni, dovete far sigillare la vostra macchina dalla dogana. Per non parlare di cose più gravi, che attengono ai diritti umani: per esempio, You tube in Turchia è censurato. Questo costume di controllo capillare e minuzioso che difficilmente cambierà a breve termine.
Terza riflessione. Ancor più dei greci, i turchi sono cordiali, accoglienti, curiosi dello straniero. Quando ho avuto un problema di barca (si era bloccato il motore) in una piccola baia si sono fatti in quattro non solo per mettermi in sicurezza, ma anche per far venire un meccanico dal paese vicino, mentre un ingegnere di Istanbul in vacanza si è offerto come traduttore per tutto il tempo. Ed è solo un episodio, ma potrei raccontarne altri.
Quarta e ultima riflessione. Certamente è bene non lasciare la Turchia al suo destino, ma forse dobbiamo innanzitutto capire che cosa sarà l’Europa, quali saranno i suoi meccanismi decisionali, a che cosa insomma proponiamo di aderire o di non aderire.
Insomma, teniamo la Turchia vicino al nostro cuore, perché i turchi se lo meritano. Ma sulle modalità di crescita di questa relazione ci sono tante cose ancora da capire.

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