Appunti dopo qualche giorno in Kossovo, per una missione internazionale di preparazione al futuro Censimento. La gente ha una gran voglia di normalità e sembra strano che il 10 dicembre (quando il governo a maggioranza albanese potrebbe autoproclamare l’indipendenza del Paese) possa esserci il rischio di una ripresa dei conflitti armati. In ogni caso il drammatico problema del Kossovo è la mancanza di un meccanismo autonomo di sviluppo economico, perché questi anni d’intervento internazionale hanno drogato l’economia, senza però lasciare risultati permanenti. Sono convinto che l’unica speranza per il futuro sia una più forte azione dell’Europa Unita, che deve prendersi le sue responsabilità politiche ed economiche per una definitiva sistemazione dei Balcani. My impressions after a few days spent in Kosovo, for an international mission in support of their future census. The local people are friendly and willing to live a “normal” life, but everybody knows that after the 10th of December (when the government led by the Albanian majority might proclaim Kosovo’s unilateral independence) the situation between the different ethnic groups could become again very dangerous. Even if this crucial date will someway be dealt with, Kosovo will have very difficult economic problems because the long standing international missions operating in the country have not started a development mechanism. As many others, I think that the only solution can come from a strong European action replacing the United nations in leading Kosovo out of the crisis. But without a Ue’s common vision and willingness to pay the costs of development in exchange for peace the Balkan situation will remain a mess.
Ho passato buona parte di questa settimana a Pristina, per una missione di supporto al futuro censimento del Kossovo. Tre giorni in un Paese non sono certo sufficienti per dire cose intelligenti, soprattutto in una situazione tanto complessa. Però vorrei fissare alcune impressioni.
La gente innanzitutto. Cordiale, aperta, con una gran voglia di ordine e di normalità. La sera i locali sono pieni di giovani; non si riesce a immaginare che questo è il Paese dove nel giro di pochi anni si sono avuti diversi episodi di tentata “pulizia etnica”. Anche oggi la situazione è molto incerta. Il 10 dicembre, la maggioranza di etnia albanese potrebbe proclamare l’indipendenza del Paese, contro il volere della Serbia e della Russia. Ma che cosa accadrebbe allora nelle zone dove vivono i serbi? La Serbia potrebbe tentare di annettersi la regione di Mitrovica, oppure i kossovari potrebbero reagire preventivamente: insomma un gioco di domino che potrebbe far nuovamente precipitare il Paese nel dramma delle guerre etniche.
La seconda impressione è che purtroppo il massiccio intervento internazionale non è riuscito a creare in Kossovo un meccanismo di sviluppo. L’economia si basa sulle rimesse degli emigranti (credo in calo, perché chi può si fa raggiungere all’estero dalla famiglia) e sugli alti stipendi di chi lavora per le organizzazioni internazionali. Oltre, naturalmente, ai consumi delle migliaia di militari e operatori stranieri presenti con le varie missioni: fa impressione per esempio vedere il Minimax di Pristina, uno dei migliori supermercati ricco di merci a buon prezzo, frequentato da soldati e soldatesse di almeno dieci Paesi diversi, che fanno shopping in tuta mimetica e con il mitra a tracolla. L’eventuale partenza o anche il ridimensionamento delle missioni internazionali creerebbe conseguenze economiche durissime per la popolazione.
Infine, quella che mi sembra l’unica speranza: un maggior ruolo dell’Europa. L’Onu purtroppo ha confermato in Kossovo i difetti già noti in altre missioni: costi enormi, molta burocrazia, sostanziale impressione di inefficienza. L’intervento internazionale in Kossovo dovrà durare ancora a lungo, per le ragioni politiche ed economiche sopra spiegate. Ma solo l’Europa unita può essere in grado di trovare una via d’uscita sostenibile, con una soluzione transitoria che integri la regione nell’Europa politica, come ha scritto Michele Nardelli su Osservatorio Balcani. Non è una novità, del resto, che l’Ue ha una grande responsabilità nella sistemazione dei Balcani e che l’Italia, che è così vicina all’altra sponda dell’Adriatico, deve fare la sua parte. Finora però i diversi Paesi europei si sono mossi in ordine sparso, soprattutto per quanto riguarda il quadro strategico, cioè il disegno generale di sistemazione dell’area. Ma il 10 dicembre è vicino e l’incertezza dell’Europa è un disastro: per i kossovari, per tutti i Balcani, per noi stessi.