Facciamo un po’ di conti. Attualmente la speranza di vita alla nascita, in Italia, è di circa 80 anni, nella media tra i 77 degli uomini e gli 83 delle donne, e aumenta di circa un anno ogni cinque. Ma chi oggi ha già 60 anni può aspettarsi una vita residua di circa 23 anni, di cui una ventina in buona salute.
Anche se l’età del pensionamento effettivo raggiungesse i 65 anni (oggi in realtà per varie cause quasi tutti vanno in pensione molto prima) rimarrebbe comunque un periodo della vita di dieci – quindici anni che deve essere in qualche modo riempito.
Come? Il sacrosanto dibattito sul prolungamento dell’età pensionabile sarebbe molto più chiaro se affrontassimo questo problema generale, che è ormai il tema mondiale dell’ageing society, come ho cercato di spiegare in un ampio articolo su East pubblicato ora anche su Terza repubblica.
Che cosa propone la vita collettiva alle persone tra i sessanta e gli ottant’anni, che non si accontentano “to stay at home sipping tea and potting begonias“, secondo una felice espressione dell’Economist, che potremmo tradurre, adattandola all’Italia, nel “fare i nonni e giocare a bocce”? È chiaro che è assolutamente nell’interesse dell’economia, degli equilibri sociali e anche della felicità complessiva che queste persone siano impegnate in attività che diano loro soddisfazione, che contribuiscano alla vita collettiva e che magari alleggeriscano l’onere sui sistemi previdenziali. Ma come? Proviamo a passare in rassegna un po’ di possibilità. Attualmente le opzioni più comuni sono tre:
1) Il prolungamento delle attività lavorative. È la risposta classica, la più comoda per i sistemi politici, ma anche la più carente. Non solo perché è da escludere per tutti i lavori usuranti, categoria assai difficile da delimitare, ma perché gran parte delle persone non ha voglia di continuare a fare quello che ha fatto magari per quarant’anni, con gli stessi impegni di tempo e di stress. Si pensi solo alla fatica che costa nelle aree metropolitane raggiungere ogni giorno il luogo di lavoro: per molte attività questa è in realtà la parte più “usurante” della giornata. Pochi privilegiati (come chi scrive) possono facilmente riconvertirsi al “telelavoro” continuando a scrivere da casa. Per i più questa possibilità è negata o richiede comunque formazione e riadattamento.
2) I classici “secondo lavori” in nero. L’anziano ha spesso la necessità di continuare a guadagnare perché la pensione si erode in parte con l’inflazione, o anche per aiutare la famiglia. Le attuali norme lo sospingono verso l’economia sommersa: una soluzione che danneggia sia lui, sia il fisco, sia la società intera perché aumenta la percezione di illegalità.
3) Il volontariato. Questa è la risposta classica, soprattutto per chi non ha particolari esigenze economiche. Ma è meno facile di quanto non sembri. Di anziani disposti a fare i volontari in opere sociali ce ne sono sempre di più, ma non è detto che le organizzazioni sociali sappiano come impiegarli con reciproca soddisfazione. Spesso queste esperienze finiscono coll’assorbire ben poco tempo ed essere di scarsa soddisfazione.
Esistono altre alternative? A mio avviso sì: l’anziano in molti casi è in grado di svolgere attività utili per il sistema produttivo, come mostra anche l’articolo di Francesco Daveri pubblicato su la voce.info . A quali condizioni? A mio giudizio ci sono tre possibilità:
a) Un forte incremento delle opzioni part time, sia su base giornaliera che settimanale o mensile.
b) La possibilità per l’anziano di rientrare sul lavoro dopo periodi anche lunghi di interruzione “sabbatica”.
c) L’incoraggiamento a forme di “imprenditorialità anziana” che possono tradursi nella trasmissione dei saperi ai più giovani.
È evidente che queste tre possibilità richiedono uno sforzo da parte delle imprese e delle istituzioni per riadattare i modelli organizzativi, ma dovrebbero essere incoraggiate dai pubblici poteri con incentivi, facilitazioni e iniziative formative prima e dopo il raggiungimento dei 60 anni.
I vantaggi sarebbero notevoli. Sul piano occupazionale, innanzitutto, perché è stato dimostrato dall’Ocse che lo spostamento dell’età lavorativa non danneggia i giovani, mentre l’opportunità offerta ai pensionati di avviare nuove attività potrebbe creare nuovi posti di lavoro. Sul piano previdenziale, perché si tratta di attività comunque retribuite che potrebbero comportare ulteriori versamenti. E anche sul piano sanitario, perché è ben noto che il senso di inutilità porta alla malattia, che grava sui costi pubblici.
Fantapolitica? In Italia tutto quello che esce dai nostri dibattiti quotidiani sembra tale. Ma diversi Paesi e molte imprese si stanno già muovendo in questa direzione. Sarebbe bello cominciare a discuterne.
Life is getting longer: in Italy, event if the real retirement age should be set at 65 years, one can expect to live 10 – 15 years in good health after that day. To do what? Not necessarily to work in the same way as in the preceding 40 years. Here are some ideas in order to employ in productive ways people who don’t want “to stay at home sipping tea and potting begonias”, as the Economist once wrote.