Difficile immaginare due persone più diverse di Tiziano Terzani e Oriana Fallaci. Spesso sostennero tesi diametralmente opposte; dopo l’11 settembre si scontrarono in una polemica diretta. La Fallaci era convinta che l’Occidente sottovalutasse la minaccia del fascismo islamico e per denunciare questo pericolo usò un tono apocalittico e spesso insultante. Terzani, riconoscendo gli errori dell’ideologia comunista che aveva abbracciato da giovane, ma sempre più deluso dalla civiltà occidentale e dai cambiamenti indotti dalla globalizzazione nell’Asia da lui tanto amata, rifiutò i metodi della politica e abbracciò una non violenza intransigente, che lo portò addirittura a negare l’utilità della guerra di resistenza a Hitler, come confidò al figlio Folco nel libro colloquio “La fine è il mio inizio”.

Eppure nella loro storia ci sono molti punti in comune. Non solo l’origine fiorentina che ha dato ad entrambi quell’inconfondibile impronta di schiettezza, non solo il cancro che li ha uccisi, lui nel luglio 2004, lei nel settembre di quest’anno, ma soprattutto il gusto del giornalismo di prima linea, del raccontare ciò che si è visto di persona, mai per sentito dire. Rischiarono più volte la vita: Tiziano stava per essere fucilato dai kmer rossi (si salvò con un sorriso, raccontò poi a Folco), la Fallaci fu data per morta sotto un mucchio di gente ammazzata nelle repressioni in occasione delle Olimpiadi di Città del Messico. Non avevano nessuna soggezione di fronte al potere: Tiziano lo sfuggiva, preferendo raccontare storie viste nelle città e nelle campagne. Oriana lo sfidava in interviste epiche che lasciavano i potenti con l’amaro in bocca.

Tra loro c’è anche un’affinità più profonda, che intriga chi come me è arrivato a quella che gli indiani chiamano “la terza fase della vita”: le prime due sono quelle dell’apprendimento e della costruzione responsabile, la quarta è il distacco progressivo che prepara alla morte, mentre la terza è quella della maggiore libertà. Ecco, appunto: sia Terzani che la Fallaci hanno costruito la loro vita come una grande e progressiva conquista di libertà. Già prima di ammalarsi, Tiziano si era affrancato dal giornalismo tradizionale con scelte sorprendenti, che lo avevano portato per esempio a decidere di muoversi per un anno intero solo via terra. Apparentemente per seguire le indicazioni di un indovino che gli aveva proibito di prendere l’aereo, in realtà per seguire i tempi e i ritmi della sua ricerca personale. Anche Oriana, nell’intervista a Lucia Annunziata, ha descritto la sua vita come un percorso verso la conquista della libertà piena: “La vecchiaia è una catarsi, non temi più nulla e nessuno”.

Certo, non basta essere e sentirsi liberi, bisogna anche saperla usare, la libertà. Tiziano e Oriana, ciascuno a suo modo, ne hanno fatto buon uso: lui per una riflessione sempre più distaccata dalle cose del mondo, ma ricchissima di insegnamenti che nascevano da una grandissima curiosità critica unita a un eccezionale senso dell’umorismo e capacità di raccontare; lei per una requisitoria senza cedimenti contro il pericolo che ci minaccia tutti e di fronte al quale preferiamo spesso chiudere gli occhi per amore del quieto vivere. Entrambi fino all’ultimo loro giorno hanno voluto darci qualcosa, comunicarci la loro esperienza con passione e intensità. Grazie Tiziano, grazie Oriana.

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