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22 novembre 2007Lascia un commentoFelicità e benessere, Senza categoriadi Donato Speroni

Il convegno “Beyond Gdp” (Oltre il Pil) a Bruxelles ha messo a confronto ambientalisti ed economisti, facendo registrare, forse per la prima volta, una certa convergenza sul concetto di sviluppo sostenibile e sulle modalità per misurarlo. E’ un progresso importante, ma ci vorrà tempo prima che i nuovi indicatori siano effettivamente condivisi e usati per promuovere politiche più efficaci.
Sarà forse perché si svolgeva in un’aula del Parlamento europeo, di certo il convegno “Beyond Gdp” (oltre il Pil) che si è svolto a Bruxelles il 19 e 20 novembre ha avuto un carattere più “politico” di quello svoltosi a Istanbul in giugno per iniziativa dell’Ocse, già raccontato su questo blog. Il tema era simile (i nuovi indicatori del progresso umano), ma questa volta oltre all’Ocse hanno partecipato all’organizzazione il Parlamento e la Commissione europea, il Club di Roma, il Wwf.
Al di là di certe enunciazioni troppo ottimistiche, che però colpiscono la stampa, sulla possibilità di usare la misura della felicità al posto del Prodotto interno lordo, l’aspetto più interessante dell’iniziativa si è visto nel tentativo di far dialogare ambientalisti ed economisti. In passato, le iniziative sul superamento del Pil erano prese in uno spirito di contrasto ideologico rispetto al cosiddetto “economicismo”, nella convinzione che le misure della ricchezza umana basate solo sulla capacità di produrre beni e servizi finissero col sottovalutare aspetti fondamentali, tanto da portare in ultima analisi a un impoverimento del Pianeta. D’altra parte, gli economisti vivevano con un certo fastidio queste pressioni che mettevano in discussione misurazioni consolidate senza proporre sistemi alternativi validi di misurazione del progresso.
L’incontro di Bruxelles ha avuto invece il merito di far dialogare i due mondi, che peraltro nel frattempo si sono molto avvicinati: l’urgenza delle questioni ambientali ha reso ancor più evidente che non basta misurare la ricchezza senza tener conto degli effetti generali, non solo per gli effetti globali sul clima, ma anche per il depauperamento delle risorse economiche che non viene considerato nel calcolo del Pil: tipico il caso, citato al convegno, della Mauritania che ha visto migliorare i suoi conti per qualche anno grazie al più intenso sfruttamento delle risorse ittiche, per poi ripiombare nella crisi quando i banchi di pesce sono stati sfruttati al di là delle capacità di rigenerarsi.
Anche soggetti che in passato sembravano le roccheforti dell’economicismo, come la Banca Mondiale, parlano oggi sempre più spesso di sviluppo sostenibile. D’altra parte, il mondo ambientalista, o almeno una grossa parte di esso, sta passando dalla fase di mera denuncia a una fase più costruttiva di lavoro fianco a fianco con gli economisti.
Al convegno sono state presentate diverse proposte di misurazione composita degli effetti economici e di quelli ambientali, ma non mi sembra che possa esserci un sostituto del Pil di prossima adozione. Così come le perorazioni perché i calcoli aziendali presentino una “triple bottom line”, cioè un triplo risultato che tenga conto di Profitto, gente (People) e Pianeta sono interessanti, ma ancora ben lontane da un’adozione generale. Ma la linea di tendenza è indubbiamente quello di attribuire un diverso valore agli indici che contano per decidere le politiche. Il prossimo passo è far sì che questi indici siano effettivamente usati non per far polemica ma per prendere decisioni condivise.

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