2030 – La tempesta perfetta: una proposta “new global”

E’ uscito ieri in libreria il volume 2030. La tempesta perfetta – Come sopravvivere alla Grande Crisi (Rizzoli, 240 pagine, 18,50 euro, anche in e book) che ho scritto insieme a Gianluca Comin. L’accoglienza iniziale è stata ottima, con numerose recensioni, soprattutto on line, fin dal primo giorno. Abbiamo creato un sito che segue gli sviluppi del libro. Ci auguriamo che stimoli discussioni su temi che in Italia tendiamo sempre a nascondere sotto il tappeto, perché troppo presi dalle difficoltà dell’oggi per pensare anche ai rischi del domani. Eppure bisogna cambiare: politiche nazionali ed internazionali, comportamenti individuali e delle imprese, strumenti di misura del progresso, in un insieme che abbiamo definito “una filosofia new global”. Ci aiuta la rete, il moltiplicarsi delle comunicazioni, la crescente consapevolezza nel mondo dei rischi che stiamo correndo.

Il libro valuta la possibilità che entro il 2030 si determini una situazione difficilmente gestibile a causa dell’aumento dei consumi, delle diffuse povertà indotte anche dal riscaldamento del Pianeta, dalla debolezza delle risposte politiche a livello globale. Ne potrebbe derivare la cosiddetta “tempesta perfetta”, ancora più devastante di una guerra mondiale. Si può evitare? Abbiamo cercato di dare una risposta spaziando dalle problematiche demografiche a quelle ambientali, dalla politica all’economia.

I nuovi trend demografici in Cina e India

Negli anni che finiscono per zero o per uno il mondo si conta. Quasi tutti i censimenti si svolgono con cadenza decennale; quelli in corso tra il 2010 e il 2011 (compreso quello italiano) sono circa un centinaio. Di particolare interesse sono i censimenti già svolti in Cina e India, che ci danno un’idea del futuro dei due più grandi Paesi del mondo.

Il sesto censimento della popolazione cinese si è svolto nel novembre 2010, con la partecipazione di dieci milioni (dieci milioni!) di enumerators, intervistatori che hanno battuto città e campagne. Il 15mo censimento della popolazione indiana è cominciato il 9 marzo. Ha comportato, come quello cinese, un gigantesco sforzo organizzativo, con 2,3 milioni di ispettori che hanno battuto 630mila villaggi e 5mila città.

Le prospettive demografiche dei due Paesi sono molto diverse: molto più preoccupanti quelle cinesi per l’invecchiamento della popolazione; sono invece un punto di forza, nonostante gli spaventosi squilibri sociali, per il futuro dell’India, che entro il 2025 diventerà il più grande Paese del mondo.

Disoccupazione, ripresa, governance: commenti su F&M

Su Finanza & Mercati, il quotidiano di Milano diretto da Gianni Gambarotta, sto pubblicando una serie di articoli relativi a temi di attualità. Ecco i primi:

Sulla crescita economica: un articolo del 9 settembre.

Sulla disoccupazione, 1l 16 settembre.

Sulla ripresa “verde”, il 23 settembre

Sulla governance della finanza globale, il 30 settembre.

La Caritas: l’emigrazione non dipende dalla povertà

Ce ne accorgiamo adesso, in piena crisi, ma sapevamo da tempo che il “tappo” sarebbe saltato. Alla lunga i tappi saltano sempre, quando c’è troppa pressione. Le previsioni dell’Onu ci dicono che in Europa, se il saldo migratorio continuerà ad essere pari all’attuale flusso ufficiale, la popolazione residente da adesso al 2050 rimarrà stabile: i migranti infatti riequilibreranno il calo naturale. Ma andrà davvero così oppure dovremo fronteggiare una grande impennata degli arrivi? I demografi si interrogano sulla attendibilità delle previsioni dell’Onu, perché nello stesso arco di tempo la popolazione africana aumenterà di un miliardo di persone. Il problema dunque non è il “tappo”, ma la “bottiglia”: per le nuove generazioni africane l’Europa rappresenta un tale cambiamento in meglio in termini di reddito e di aiuti alla famiglia d’origine che tanto vale tentare la lotteria dell’immigrazione clandestina. Come possiamo fronteggiare questa situazione? L’ultimo rapporto statistico della Caritas fornisce elementi che fanno riflettere, partendo da quella che i demografi chiamano “migration hump”, la gobba delle migrazioni.

La sfida dei nove miliardi – un dossier per la rivista East

Non stiamo parlando di un futuro remoto, ma di un mondo che è già dietro l’angolo. Nel 2050 i leader che dovranno affrontare i problemi di una Terra sovrappopolata ed esausta non saranno i nostri bisnipoti, ma i nostri figli. E almeno metà dell’attuale popolazione mondiale sarà ancora in vita. E’ questo l’argomento di un dossier che ho preparato per la rivista East e che per gentile concessione dell’editore è accessibile da oggi su questo sito. Il dossier comprende anche un’intervista al demografo Antonio Golini, un colloquio col presidente dell’Istat Enrico Giovannini, la traduzione del Rapporto “La tempesta perfetta del 2030” del Population Institute di Washington sulla base delle previsioni del capo dei consulenti scientifici del governo britannico John Beddington, e un dibattito tra esperti: il vero problema è il boom demografico o l’eccesso di consumi del mondo industrializzato?

Ma perché Cameron vuole misurare la felicità? E come lo farà?

Ma perché Cameron vuole misurare la felicità? E come lo farà?
Prima Nicolas Sarkozy, adesso David Cameron. Come mai in un momento di crisi economica e di tagli di bilancio con pesanti implicazioni sociali i governanti europei stimolano i loro uffici di statistica a misurare il benessere dei cittadini?
C’è chi sospetta che sia un modo di “parlar d’altro”, di suggerire che esistono altri valori oltre al denaro, proprio quando di soldi in giro ce ne sono pochini. Può essere. Ma qualunque governante capace di guardare un po’ avanti sa che gli stili di vita dei paesi più ricchi dovranno cambiare per far fronte alle difficoltà globali, economiche, ambientali e sociali. Proprio in Inghilterra, un anno fa, il capo dei consulenti scientifici del governo annunciò per il 2030 una “tempesta perfetta”. All’epoca a Downing Street c’erano i laburisti, ma la visione dei rischi ai quali andiamo incontro accomuna le diverse parti politiche.
Il problema dell’immediato futuro, dunque, non è solo che sarà difficile mantenere lo stesso potere d’acquisto, ma che dovremo cambiare vita: adattarci a servizi pubblici meno costosi, accettare nuovi modelli di consumo privato, far fronte alle sfide dei paesi emergenti in termini di competitività, definire i parametri per gestire la pressione delle aree più povere del mondo. Insomma, una vera e propria rivoluzione non solo ambientale, ma economica e sociale. Non c’è da stupirsi se prima di addentrarsi in un terreno inesplorato, che richiede alla politica fantasia e coraggio, i governanti più avveduti vogliano capire “che cosa conta davvero” per i loro cittadini.
Ma in concreto che cosa succederà in Inghilterra? Consigliamo la lettura di un ampio articolo del Guardian che fa il punto della situazione, precisando come è ovvio (ma non bisogna mai stancarsi di ripeterlo) che la misura del Prodotto interno lordo non sarà cancellata, ma solo integrata.
Possiamo aggiungere che l’Office for National Statistics inglese, ora ufficialmente investito dell’incarico dal primo ministro, in realtà sta studiando da tempo il problema, come del resto tutti i grandi istituti nazionali, compreso il nostro Istat. Una ricerca pubblicata recentemente dall’Ons esamina il concetto di “benessere soggettivo” (subjective well being) e recensisce le indagini già in corso. Per esempio, in Gran Bretagna nel 2009 si è rilevato che alla classica domanda “Tutto considerato quanto sei soddisfatto della tua vita da zero a dieci” gli inglesi nel 2009 avevano risposto con una media del 7,4, rispetto al 7,3 del 2007. Ricordiamo che l’Istat è uscita da poco con un comunicato con una indicazione di 7,2 per gli italiani, commentato in un mio precedente post.
L’indagine inglese del 2009 è ufficiale, col bollo National Statistics. Che cosa cambia dunque con l’annuncio di Camerun? Certamente ci sarà una maggiore attenzione a questi temi: si parla addirittura di una rilevazione trimestrale, anziché quella attuale ogni due anni. Inoltre il campionamento sarà più esteso, in modo da consentire, oltre a una maggiore attendibilità dei dati, anche disaggregazioni ed analisi delle correlazioni con i diversi fattori che determinano il benessere (età, lavoro, salute, ecc.). Tutto questo porterà a un unico indice complesso al quale i media dedicheranno attenzione, come accade per il Pil? Tra gli statistici questa è ancora materia di discussione. E i giornalisti devono stare attenti prima di scrivere che il Pil sarà sostituito dall’”indice della felicità”. Per spiegarsi con una metafora, affermare che per determinare la salute di una persona non basta misurare la pressione arteriosa non significa che si possa far ricorso a un superindice valido e attendibile che ingloba tutte le misure del corpo e ci dice come stiamo. Sarebbe comodo, ma è molto difficile che funzioni.

http://www.guardian.co.uk/politics/2010/nov/14/david-cameron-wellbeing-inquiry
http://www.statistics.gov.uk/cci/article.asp?ID=2578

Vi presento il mio libro “I numeri della felicità”

L’idea è nata dell’ottobre scorso, quando sono stato a Busan, in Corea, a seguire per conto della rivista East, Europe and Asia strategies il grande convegno internazionale dell’Ocse sulla misura del progresso. Ne ho già parlato su questo blog.

Da domani sarà in libreria il mio nuovo libro I numeri della felicità – dal Pil alla misura del benessere. L’editore è Cooper, lo stesso del mio volume dell’anno scorso L’intrigo saudita. Il libro è di 286 pagine e contiene anche classifiche e documenti. Il prezzo è 15 euro e il volume si può acquistare facilmente anche on line.

Lunedì 14 giugno alle 16 presso la biblioteca del Cnel di Viale David Lubin 2 a Roma, il libro sarà presentato in un seminario organizzato dal gruppo di lavoro “Nuovi indicatori macroeconomici” del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Avrò il piacere di discuterne con Mario Baldassarri, Emma Bonino, Enrico Cisnetto, Enrico Giovannini, mentre il moderatore sarà Gabriele Olini. L’incontro è aperto e ne abbiamo dato notizia anche nelle università.

Cari compagni americani, vi scrivo questa lettera…

Ritornare dopo 50 anni. La mia non è la storia dell’emigrante che torna da pensionato al suo paesello, ma al contrario quella di un adolescente che va con una borsa di studio per un anno a Lincoln, nelle grandi pianure americane, e ci ritorna da anziano, avendo scoperto grazie a Facebook che i suoi compagni di allora hanno organizzato una “50 years celebration”. E’ stata una settimana molto bella, per il calore con cui sono stato accolto, ma anche molto stimolante, perché mi ha fatto riflettere sull’America più profonda e sulle differenze rispetto a noi europei. Ho raccolto queste impressioni in una lettera ai miei compagni, pubblicata integralmente sul mio blog inglese.

Sono stato spesso negli Stati Uniti per lavoro o per turismo, ma questa esperienza è stata diversa. Il Nebraska è esattamente al centro degli Stati Uniti. Da queste praterie passavano le carovane dei pionieri prima che la ferrovia facilitasse il viaggio alla costa occidentale. Non si fermavano, i pionieri, perché le grandi pianure erano considerate, a torto, poco fertili. E ancor oggi pochi stranieri visitano il Nebraska. E’ la terra del granoturco e del bestiame, di gente sorridente e aperta, con valori semplici e condivisi. Questo è il cuore dell’America, diverso da New York e da Washington, ma anche dalla California o dal Colorado: un mondo conservatore, ricco di valori profondi, con una religiosità viva e sincera. Un mondo molto lontano dal nostro.

La felicità in tempi di crisi: ricetta danese e riflessione coreana

La Danimarca è davvero il Paese più felice del mondo? Così dicono quasi tutte le indagini degli ultimi anni sul benessere individuale, anche se condotte con metodologie diverse. Ma che cosa è la felicità? Come si misura? Le misurazioni sono comparabili tra Paesi dove magari i concetti stessi di felicità e benessere assumono valori differenti nelle lingue e nelle culture locali?

Confinato per anni nel dibattito tra esperti, il tema della misura del cosiddetto “benessere percepito” è diventato centrale per statistici ed economisti e lo sarà sempre più per i leader politici del 21° secolo. La crisi economica ne ha già oggi accentuato l’importanza. Si coglie meglio il fatto che ci sono altri valori oltre la crescita dei beni e servizi prodotti: la distribuzione della ricchezza, la solidarietà, la serenità sul futuro proprio, dei propri cari e dell’ambiente che ci circonda. La crisi, insomma, può essere il momento giusto per chiedersi che cosa conta veramente, come lo si misura, come si controllano i risultati dell’azione pubblica verso gli obiettivi comuni.

Di felicità e benessere si è discusso per cinque giorni, dal 19 al 23 luglio, nel corso della nona Isqols conference, il congresso di tutti i ricercatori che si occupano di “quality of life”. Il tema, come abbiamo detto, sarà anche al centro del World Forum promosso dall’Ocse su “Statistics, knowledge and policy” che si svolgerà a Busan, in Corea, dal 27 al 30 ottobre. La riunione, terza della  serie  dopo i Forum di Palermo nel 1974 e Istanbul nel 1977 (si veda il mio articolo su East n.  17), radunerà 1500 partecipanti di 130 Paesi e certamente offrirà nuovi spunti di riflessione sulla misura del progresso delle collettività umane. L’attenzione internazionale a questi temi è stata fortemente stimolata da Enrico Giovannini, il “chief statistician” dell’Ocse diventato ora presidente dell’Istat.

I prossimi 40 anni: convivere in 10 miliardi

Riprendo a scrivere dopo un mese di vacanza, trascorso prima in barca (da Preveza, che si affaccia sullo Jonio greco, a Leros, nell’Egeo), poi in un lungo viaggio in auto (sempre da Preveza attraverso i Balcani fino a Roma). Gli stacchi sono importanti, aiutano a  riflettere. Moltiplicano i temi  sui quali mi piacerebbe “saperne di più”, come ho scritto nel mio sito.
Sono all’opera forze ineluttabili, che non solo non cerchiamo di contrastare, ma neppure di prevedere nei loro risultati per adattarci nel miglior modo possibile.