Il giornalismo sopravviverà ai giornali?

E’ paradossale: in un mondo che macina sempre più informazioni il mestiere di cronista rischia di sparire. Internet offre strumenti formidabili: blogs, digg, twitter… che però non bastano a garantire una copertura adeguata della realtà, ancor oggi raccontata sistematicamente soltanto dalla carta stampata. Nessuno riesce a immaginarsi il giornalismo del futuro, ma dopo uno scambio di idee con mio figlio, utente avanzato dell’informazione in rete, e riflettendo sulle parole di un esperto come Clay Shirky, ho cercato di fissare alcuni punti.

Pierferdi, perché fai così?

“Le famiglie italiane sotto la soglia di povertà sono passate in un anno da due milioni e mezzo a sette milioni e mezzo”. Quando ho sentito Pierferdinando Casini fare questa affermazione, nel corso del dibattito promosso da Società aperta il 4 novembre a Roma, ho fatto un salto sulla sedia.
Per caso mi ero appena stampato la nota che l’Istat aveva diffuso quel giorno stesso. In realtà, dal 2006 al 2007 le famiglie povere sono passate da 2milioni 623mila a 2milioni 653 mila, mentre gli individui in povertà da 7milioni 537mila a 7milioni 542mila. In percentuale, le famiglie povere sono rimaste all’11,1% del totale e gli individui in povertà sono scesi dal 12,9 al 12,8%. Insomma, la situazione era rimasta stabile, altro che povertà triplicata.
Pur non conoscendo personalmente Casini, mi sono permesso di portargli il comunicato Istat e di fargli presente l’errore.

Perché l’opposizione irrita la gente

Come mai Berlusconi, nonostante le sue molteplici gaffe e i pericoli che il suo modo di governare pone alla democrazia, è sempre più in alto nei sondaggi? I programmi dell’opposizione non sono credibili, dicono in molti. Ma forse c’è qualcosa d’altro e me ne sono reso conto guardando l’intervista di Lilli Gruber a Renato Brunetta, nella rubrica “Otto e mezzo” di giovedì 16 ottobre: c’è uno stile di comunicazione sgradevole e perdente.

La trappola della democrazia diretta

Immaginate una comunità nella quale tutti sono collegati a internet, padroneggiano il computer e sono in grado di esprimersi sulla rete con libertà. Un’utopia? Non direi, se guardiamo a Paesi diversi dall’Italia, dove è meno grave il “digital divide” che separa gli informatizzati dal resto della popolazione, e se magari proiettiamo il nostro discorso in un futuro da qui a una decina di anni.
Una comunità del genere è, in teoria, nelle condizioni migliori per esprimere nuove forme di democrazia diretta e/o di rappresentanza: può per esempio affidare al voto dei cittadini, di tutti i cittadini, le nuove norme, oppure può consentire che in qualsiasi momento il cittadino con un click cambi il suo voto nell’assemblea elettiva che lo rappresenta, senza bisogno di attendere una scadenza elettorale.

Perché tutti si sentono più poveri

“Non ci credono neanche le nostre mogli…”. Mi capita spesso di imbattermi nella frustrazione di economisti e statistici, convinti che gli indici dei prezzi sono sostanzialmente corretti, ma che devono combattere con l’incredulità generale e con la convinzione che “i prezzi sono raddoppiati con l’euro, mentre gli stipendi sono rimasti uguali”.
C’è in Italia una generale percezione che il Paese si stia impoverendo e che “la gente non ce la fa ad arrivare a fine mese”. Fosse anche una sensazione esagerata (ne parleremo), resta il fatto che questo è un sentimento che si amplifica attraverso i mezzi di comunicazione, modifica i comportamenti economici, finisce coll’incidere pesantemente sulla politica.
A questo sentimento contribuiscono anche errori di comunicazione come quelli commessi dall’Istat nel diffondere senza adeguate spiegazioni ex ante l’indice sugli acquisti più frequenti (si veda a questo proposito il mio precedente post e il bell’articolo di Dario Di Vico), strumentalizzazioni da parte di associazioni di consumatori, dati diffusi da istituti di ricerca poco attendibili e persino l’agenzia stampa dei vescovi che ha presentato il nuovo dato come la “vera inflazione”.Come stanno davvero le cose?

Quel pasticciaccio brutto dei nuovi indicatori dei prezzi

La tabella sui beni “ad alta frequenza di acquisto” diffusa venerdì 22 febbraio dall’Istat ha creato una bella confusione politica, tanto che il presidente dell’Istituto Luigi Biggeri ha dovuto spiegare la natura di questi dati con ampie interviste rilasciate ai maggiori giornali. Tra l’altro, il sito dell’Istat è rimasto inaccessibile per buona parte del sabato, e questo non ha certo facilitato il lavoro degli studiosi che cercavano di interpretare la bomba statistica scoppiata il giorno precedente, con la diffusione del solito comunicato sui prezzi al consumo relativo al mese di gennaio, ma anche di una nota di approfondimento che conteneva appunto la tabellina esplosiva.
Cerchiamo di capire il vero senso dei nuovi dati, utilizzando anche le ampie informazioni metodologiche fornite dall’Istat.