Come possiamo salvarci se non crediamo nel futuro?

Come andrà a finire? Che cosa succederà all’Italia, all’Europa, al Mondo nei prossimi dieci anni? Avevo posto questa domanda su Numerus, il mio blog sul sito del Corriere della Sera, ho provato a porla in un incontro pubblico, poi ieri l’ho riproposta su Facebook.

Ho sintetizzato le ipotesi per il nostro futuro a dieci anni in tre domande, che servono a comporre otto scenari. Ecco le domande, alle quali si deve rispondere indicando la percentuale di esito positivo.

A) nel Mondo, la tendenza verso una progressiva ingovernabilità dei fenomeni globali verrà corretta dagli accordi tra gli Stati?
B) L’Europa riuscirà a darsi forme di governo più efficienti che consentano a questo continente di affrontare adeguatamente le sfide del futuro?
C) L’Italia riuscirà a correggere i suoi mali collettivi e a diventare un Paese più unito, più onesto e più giusto, tutelando il benessere collettivo?

Amato: dopo la crisi un’Europa più unita, forse senza Londra

Adesso possiamo dirlo: è possibile che l’euro superi la crisi, nonostante le previsioni autorevoli e tecnicamente fondate di un suo tracollo. Ragioniamo sul testo di una mia intervista a Giuliano Amato, nella quale l’ex presidente del Consiglio dimostra capacità di visione politica e delinea il futuro dell’eurozona come nucleo propulsivo dell’integrazione europea. Un futuro che inevitabilmente imporrà una drammatica alternativa agli euroscettici, Gran Bretagna in testa: o accettare le regole comuni o uscire dall’Unione.

La Caritas: l’emigrazione non dipende dalla povertà

Ce ne accorgiamo adesso, in piena crisi, ma sapevamo da tempo che il “tappo” sarebbe saltato. Alla lunga i tappi saltano sempre, quando c’è troppa pressione. Le previsioni dell’Onu ci dicono che in Europa, se il saldo migratorio continuerà ad essere pari all’attuale flusso ufficiale, la popolazione residente da adesso al 2050 rimarrà stabile: i migranti infatti riequilibreranno il calo naturale. Ma andrà davvero così oppure dovremo fronteggiare una grande impennata degli arrivi? I demografi si interrogano sulla attendibilità delle previsioni dell’Onu, perché nello stesso arco di tempo la popolazione africana aumenterà di un miliardo di persone. Il problema dunque non è il “tappo”, ma la “bottiglia”: per le nuove generazioni africane l’Europa rappresenta un tale cambiamento in meglio in termini di reddito e di aiuti alla famiglia d’origine che tanto vale tentare la lotteria dell’immigrazione clandestina. Come possiamo fronteggiare questa situazione? L’ultimo rapporto statistico della Caritas fornisce elementi che fanno riflettere, partendo da quella che i demografi chiamano “migration hump”, la gobba delle migrazioni.

La felicità in tempi di crisi: ricetta danese e riflessione coreana

La Danimarca è davvero il Paese più felice del mondo? Così dicono quasi tutte le indagini degli ultimi anni sul benessere individuale, anche se condotte con metodologie diverse. Ma che cosa è la felicità? Come si misura? Le misurazioni sono comparabili tra Paesi dove magari i concetti stessi di felicità e benessere assumono valori differenti nelle lingue e nelle culture locali?

Confinato per anni nel dibattito tra esperti, il tema della misura del cosiddetto “benessere percepito” è diventato centrale per statistici ed economisti e lo sarà sempre più per i leader politici del 21° secolo. La crisi economica ne ha già oggi accentuato l’importanza. Si coglie meglio il fatto che ci sono altri valori oltre la crescita dei beni e servizi prodotti: la distribuzione della ricchezza, la solidarietà, la serenità sul futuro proprio, dei propri cari e dell’ambiente che ci circonda. La crisi, insomma, può essere il momento giusto per chiedersi che cosa conta veramente, come lo si misura, come si controllano i risultati dell’azione pubblica verso gli obiettivi comuni.

Di felicità e benessere si è discusso per cinque giorni, dal 19 al 23 luglio, nel corso della nona Isqols conference, il congresso di tutti i ricercatori che si occupano di “quality of life”. Il tema, come abbiamo detto, sarà anche al centro del World Forum promosso dall’Ocse su “Statistics, knowledge and policy” che si svolgerà a Busan, in Corea, dal 27 al 30 ottobre. La riunione, terza della  serie  dopo i Forum di Palermo nel 1974 e Istanbul nel 1977 (si veda il mio articolo su East n.  17), radunerà 1500 partecipanti di 130 Paesi e certamente offrirà nuovi spunti di riflessione sulla misura del progresso delle collettività umane. L’attenzione internazionale a questi temi è stata fortemente stimolata da Enrico Giovannini, il “chief statistician” dell’Ocse diventato ora presidente dell’Istat.

I migranti, la Libia, l’Europa

Due filmati totalmente diversi ci danno il senso del dilemma dell’Europa sui problemi dell’immigrazione. Il primo, di grande attualità in questi giorni di visita in Italia di Muammar Gheddafi, si chiama “Come un uomo sulla terra”. E’ stato realizzato su iniziativa di Asinitas, una Onlus romana che opera nel campo dell’accoglienza e della formazione dei migranti, affidando agli stessi immigrati il compito di raccontare con la macchina da presa il viaggio fino al Mediterraneo. Il risultato, altamente drammatico, viene ora proiettato in molte sedi culturali ed è stato anche mostrato a Piazza Farnese in occasione della visita del dittatore libico.
Gli intervistati sono quasi tutti uomini e donne che provengono dall’Etiopia. Il racconto di quello che hanno subito in Libia è sconvolgente. Al termine di un viaggio difficile e pericoloso attraverso il deserto, dopo essere stati più volte derubati, vengono arrestati dalla polizia libica quando arrivano alla costa e rimandati indietro in oasi dove rimangono a  marcire per mesi in prigione. Le donne spesso stuprate, Poi la polizia stessa li libera e li vende a trafficanti di uomini che consentono loro di rimettersi in contatto con la famiglia d’origine, per farsi mandare altri soldi. A questo punto credono di poter andare liberi, ma quasi sempre sono nuovamente arrestati dalla polizia e la trafila ricomincia. C’è chi ha vissuto questo calvario sei o sette volte.
L’altro film su cui meditare è uno spezzone cinematografico che si trova su You Tube. Con le aride cifre della demografia, mostra la rapida crescita della popolazione musulmana in Europa e in America. Riporta anche una frase dello stesso Gheddafi, sul fatto che ormai è inutile combattere l’Europa con la spada o il terrorismo, perché per vincere la battaglia per l’islamizzazione basterà aspettare gli effetti della diversa prolificità delle famiglie immigrate rispetto a quelle già residenti.
Il filmino antislamico è realizzato da un’associazione fondamentalista cristiana degli Stati Uniti e il suo invito a rispondere all’ondata musulmana con un’intensa opera di evangelizzazione suona un po’ patetico. O anche pericoloso, se ci porta a  immaginare Occidente dilaniato dallo scontro di religioni. Anche le cifre sono forse gonfiate.
Tuttavia la testimonianza della sofferenza  del primo commovente film, unita all’arido e contrapposto linguaggio delle cifre, devono stimolarci a elaborare una politica che non sia soltanto fatta di frasi a effetto o di misure contingenti e inutili. Una politica che mostri pietà, ma tenga conto delle dinamiche di lungo termine. Cerchiamo di fissare alcuni punti.

Riflessione sul libro di Martini: quando arriva l’ora di sognare

Nelle sue “Conversazioni notturne a Gerusalemme”, Carlo Maria Martini riprende le parole del profeta Gioele citate anche dall’apostolo Pietro: “I vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni”. Sono parole importanti anche per un laico come me…

L’Europa ha deciso: donne in pensione più tardi

Quasi nessuno si è accorto che la Corte di Giustizia europea ha deciso a favore dell’equiparazione dell’età pensionabile per uomini e donne. L’Italia non potrà ignorare questa sentenza, perché rischia di pagare penali molto elevate. Il precedente governo, con Emma Bonino, aveva indicato un percorso graduale per risolvere questo problema ed investire nelle politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia al fine di aumentare l’occupazione femminile.

Turchia: vicina al nostro cuore, ma molto diversa da noi

Dopo quasi due mesi di navigazione su Phileas, la mia barca a vela, tra Turchia e Dodecaneso, torno al lavoro in Italia. Sul viaggio conto di scrivere qualcosa presto, ma su questo blog vorrei intanto annotare una riflessione: insomma, vogliamo o no i turchi in Europa? Non ho la presunzione di dare risposte ultimative, solo riflessioni nate da queste settimane di frequentazione di questo Paese, con la frequenza di contatti a cui costringe la gestione di una barca con l’organizzazione di diversi equipaggi, che diventa impegnativa come svolgere un lavoro.

I prossimi 40 anni: convivere in 10 miliardi

Riprendo a scrivere dopo un mese di vacanza, trascorso prima in barca (da Preveza, che si affaccia sullo Jonio greco, a Leros, nell’Egeo), poi in un lungo viaggio in auto (sempre da Preveza attraverso i Balcani fino a Roma). Gli stacchi sono importanti, aiutano a  riflettere. Moltiplicano i temi  sui quali mi piacerebbe “saperne di più”, come ho scritto nel mio sito.
Sono all’opera forze ineluttabili, che non solo non cerchiamo di contrastare, ma neppure di prevedere nei loro risultati per adattarci nel miglior modo possibile.