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15 aprile 2008Lascia un commentoNord e Sud, Politica italianadi Donato Speroni

Per il giornale on line Terza Repubblica ho scritto oggi questo articolo.

Siamo stati tra i primi, noi di Società aperta, a parlare di Terza Repubblica, tanto da farne, tre anni fa, la testata di questo giornale on line. Ci aspettavamo di arrivarci attraverso un percorso costituente che ridefinisse le regole del “bipolarismo bastardo” che ha caratterizzato la Seconda e che non ha impedito il declino, anzi lo ha accentuato al limite di un degrado irreparabile del Paese.
Oggi invece (si veda per esempio l’editorale di Massimo Giannini), la Terza Repubblica nasce sull’onda della netta vittoria di Silvio Berlusconi e della Lega: si profila un sistema nettamente bipolare, ma con una maggioranza forte, in grado di tenere saldamente il timone del governo per i prossimi cinque anni.
Le carte sono totalmente rimescolate. La sinistra avrà bisogno di tempo per analizzare le ragioni di una sconfitta così netta, che si è manifestata sia nell’annullamento della sinistra antagonista, sia nel mancato sfondamento al centro del Partito democratico. Anche la sopravvivenza dell’Udc sarà probabilmente irrilevante ai fini della governabilità. Insomma, Berlusconi, Fini e Bossi hanno in mano tutte le carte per governare. Con quali sbocchi? Ne posso immaginare tre: due nefasti e uno positivo, ma molto difficile.
Il primo scenario negativo è di tipo argentino. Un governo apparentemente forte, ma diviso nel suo interno, incapace di fare le riforme necessarie: per esempio, di tagliare la spesa pubblica e di completare la legge Biagi con la liberalizzazione del mercato del lavoro (anche per i pubblici dipendenti) e la creazione di un sistema adeguato di ammortizzatori sociali. Un governo pronto a scaricare sull’Europa e sulla globalizzazione le sue inefficienze. Se la nuova legislatura che comincia con la vittoria di Berlusconi dovesse somigliare al periodo 2001 – 2006, il distacco dal resto dell’Europa si accentuerebbe tanto da essere insostenibile. Avrebbero spazio le componenti peroniste del berlusconismo, probabilmente finiremmo con il distacco dall’euro, il consolidamento del debito pubblico, la ripresa dell’inflazione. Insomma, un disastro.
Il secondo scenario negativo è di tipo balcanico, magari senza i fucili, ma con analoghe spinte disgregatrici. Il partito di Umberto Bossi non è certo disposto a dilapidare il grande patrimonio di voti accumulato in alcune regioni del nord e spingerà sul federalismo fiscale e su una diversa ripartizione delle risorse e del potere di decisione sui soldi pubblici. Il Mezzogiorno però ha tutto da perdere da un aumento del federalismo che non è in grado di gestire a causa di istituzioni locali inadeguate e di una società civile debole. Se l’incapacità del governo centrale di elaborare politiche di sicurezza e sviluppo per il Sud dovesse accentuare i divari di prodotto interno lordo pro capite e di produttività tra le diverse regioni sarà difficile tenere insieme il Paese. Ne potrebbe derivare una secessione più o meno dolce, in due tronconi, o magari tre se il resto d’Italia non volesse stare né con i leghisti, né con le regioni troppo a rischio di malavita.
Il terzo difficile percorso è quello di riavvicinamento al nucleo storico dell’Europa, attraverso quelle riforme che tutti sanno essere necessarie, ma che nessuno ha avuto finora il coraggio di affrontare e che riguardano magistratura, scuola, pubblica amministrazione, mondo del lavoro. E’ una strada stretta tra i due rischi che abbiamo descritto. Presuppone coraggio, ma anche perizia di governo, una perizia che finora Berlusconi non ha dimostrato. La situazione mondiale, così gravida di incognite economiche, non aiuta. E non è d’aiuto nemmeno lo stato dell’Europa, incapace nella dimensione a 27 di darsi una politica efficace come quella che lo stesso Giulio Tremonti ha auspicato nel suo recente libro. Due elementi possono fare ben sperare. Il primo è il corretto rapporto che si è instaurato coll’opposizione di Walter Veltroni, che potrebbe portare a riforme condivise o quanto meno elaborate con una dialettica costruttiva, come per esempio avveniva spesso nella Prima repubblica tra forze di governo e gruppo parlamentare comunista. Il secondo è che il Cavaliere ha saputo tenersi le mani libere, senza promesse mirabolanti. Potrebbe permettersi un programma dei primi cento giorni senza concessioni alla demagogia.
Insomma, i primi segnali importanti si vedranno nei prossimi giorni, con la scelta dei ministri e l’annuncio delle prime riforme. Incrociamo le dita.

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