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20 gennaio 2008Lascia un commentoSenza categoriadi Donato Speroni

C’è un gran viaggiare nei paesi in via di sviluppo di consulenti pagati dalle organizzazioni internazionali. In realtà si tratta di schemi organizzativi in molti casi superati, perché buona parte dello sviluppo dei progetti potrebbe essere portato avanti in telelavoro, risparmiando almeno il 50 per cento dei costi, riducendo i viaggi aerei e le emissioni dannose, e anche assicurando più continuità nei risultati e più responsabilità ai funzionari locali. Le capitali dei paesi nuovi hanno ormai buoni collegamenti, ma le attrezzature di telelavoro non fanno parte delle priorità d’aiuto.
Si potrebbero risparmiare soldi, energie ed emissioni dannose se le organizzazioni internazionali facessero un maggior uso delle possibilità di lavoro a distanza offerto dalle nuove tecnologie. Sono arrivato a questa conclusione dopo aver partecipato per anni a missioni di diverse organizzazioni ed aver seguito lo sviluppo di diversi progetti.
In generale, le organizzazioni internazionali, per le loro missioni di supporto ai paesi in via di sviluppo, preferiscono sempre la presenza “sul posto”: anche a costo di pagare molto più cari i giorni di lavoro. La ragione è facilmente intuibile: si suppone che il contatto diretto con il personale locale ne aiuti la formazione. Allo stesso modo, le organizzazioni internazionali sono prodighe d’inviti ai quadri dei paesi in via di sviluppo perché partecipino a riunioni e convegni all’estero.
Le cose però non vanno come dovrebbero andare. Il contatto diretto, di persona, è indubbiamente molto utile per creare un gruppo di lavoro o per svolgere un’attività di formazione che presuppone l’interazione con un’intera classe. Ma spesso si pretende poi che si continui a viaggiare anche quando lo sviluppo di un progetto potrebbe essere seguito facilmente on line.
Le tecnologie moderne offrono ormai la possibilità di interagire in teleconferenza (non più con i costosi satelliti, ma con software come Skype), scambiarsi documenti in tempo reale, organizzare presentazioni a distanza. Però, negli uffici pubblici dei paesi in via di sviluppo, destinatari delle missioni di aiuto, raramente ci sono sale attrezzate per queste esigenze, che evidentemente gli investitori internazionali non considerano prioritarie. Eppure i collegamenti adeguati quasi sempre ci sono, almeno nelle capitali, tanto che quegli stessi funzionari che i consulenti vanno a incontrare facendo migliaia di chilometri in aereo parlano correntemente via computer con i loro familiari lontani.
Nei progetti internazionali, si verifica così abbastanza spesso che i consulenti siano costretti a una vita schizofrenica. Magari seguono tre progetti in paesi diversi, una settimana per Paese, più una settimana a casa ogni mese. Il risultato è che spesso nel corso della settimana nel paese A ci sono notevoli tempi morti, e che comunque il progetto procede in modo discontinuo quando poi il consulente si è allontanato.
Sono convinto che in molti casi nei quali si pagano dieci giorni di presenza in loco ne basterebbero due e che gli altri otto, ridotti alle ore effettivamente necessarie lavorando a distanza, si ridurrebbero a non più di tre. In pratica la spesa complessiva si potrebbe ridurre almeno del 50%, ma anche di più. I viaggi aerei (e relative emissioni di CO 2) sarebbero dimezzati, e i progetti proseguirebbero meglio. E forse il personale locale si sentirebbe anche più responsabilizzato, invece di restare a girarsi i pollici in attesa del ritorno del consulente.
Anche gli inviti all’estero di funzionari dei paesi in via di sviluppo andrebbero visti con un attimo d’attenzione. Quelli per scuole, seminari e corsi di una certa lunghezza e intensità sono preziosi e, se sono ben fatti, valgono tutti i soldi che si spendono. Ma il discorso sui convegni è diverso. Troppo spesso chi ha il potere di decidere si autoseleziona. E così è frequente vedere convegni affollati di presidenti o direttori generali che sanno ben poco dell’argomento specifico, ma che hanno soffiato il viaggio e la possibilità di scambiare esperienze a chi poi in realtà deve svolgere i compiti operativi. E’ un cattivo costume che si pratica anche in Italia, non possiamo quindi scandalizzarci se avviene in paesi più arretrati. Però in certi casi si può essere più selettivi e mirati negli inviti.
Dobbiamo dirci con chiarezza che tutto questo gran viaggiare è anche un business: per i consulenti internazionali che così sono pagati di più e per le organizzazioni che li mandano e che sono compensate spesso in ragione della durata delle missioni. Cambiare costume va contro molti interessi consolidati. Però è ora di accorgersi che il mondo non è più quello di una volta.
Credo che una certa frequenza di contatti diretti, di persona, sia necessaria, così come penso che anche chi pratica il telelavoro dovrebbe andare in azienda con una certa assiduità, perché non tutto si può fare o capire a distanza. Però il telelavoro è ormai una realtà (negli Usa per esempio esiste un sito che aiuta tutte le amministrazioni pubbliche a praticarlo) e andrebbe promosso in tutti i casi possibili, nonostante le diffidenze di chi è ancorato alle vecchie scrivanie, perchè migliora la qualità della vita e dell’ambiente senza diminuire la produttività.
Va promosso anche nelle organizzazioni internazionali, dove già molto si fa attraverso il telelavoro per evitare viaggi tra i quartier generali di New York, Bruxelles, Parigi o Ginevra, ma ben poco ancora coi Paesi nuovi. Io sono convinto che l’operato delle organizzazioni internazionali sia prezioso, che le missioni di supporto allo sviluppo siano indispensabili, che la rete di relazioni che così si crea sia fondamentale per un futuro di progresso. Ma proprio per salvare quello di buono che si fa dalle critiche sempre più forti sugli sprechi è opportuno che la Banca Mondiale, l’Unione Europea e le altre strutture impegnate negli aiuti applichino fino in fondo le nuove tecnologie e rivedano le loro procedure organizzative.

ambienteFondo Monetario internazionaleInternetLavoroNazioni uniteOecdOnuUnViaggi
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d.speroni

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