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8 gennaio 2008Lascia un commentoSenza categoriadi Donato Speroni

Oggi servirebbero due politiche diverse: al Sud più commissari che riportino al centro i poteri male usati, senza però tagliare i fondi perché senza finanziamenti non può esserci sviluppo; nel resto del Paese più autonomia alle Regioni che hanno dimostrato di sapersi amministrare. Una fase straordinaria, di legalità e di sviluppo, che solo un governo straordinario di grande coalizione può attuare contro gli interessi di buona parte della classe politica meridionale. Se invece non ci si riuscirà, la palla al piede Mezzogiorno condurrà il Paese al declino o alla frammentazione.
“Questo giornale non vi parlerà di Mezzogiorno…”. Cominciava così l’editoriale del primo numero di Capitale Sud, la rivista del gruppo Class che progettai e diressi dal 1987 al 1993 e che era dedicata proprio all’economia meridionale. Intendevamo dire, con quell’affermazione, che volevamo uscire dalle consuete lamentele del meridionalismo per raccontare invece tutto quello che c’era di nuovo nello sviluppo del Sud. Già allora, del resto, il termine “Mezzogiorno” faceva venire il latte alle ginocchia a gran parte degli italiani.
Il settimanale impegnava anche giornalisti coraggiosi (uno per tutti: Sergio Rizzo, oggi diventato famoso per “La Casta” con Gian Antonio Stella), però le cose non andarono come speravamo. Il Sud non decollò, il giornale dovette chiudere, ma i sette anni di vita professionale dedicati a “non parlare del Mezzogiorno” mi danno diritto a una provocazione che non deve apparire antimeridionale.
Il fatto è che i problemi si ripresentano oggi tal quali. Di fronte al divario crescente tra alcune regioni del Sud e il resto del Paese, divario di situazione economica, ma ancor più di comportamenti e legalità, non si può far finta di niente, perchè si tratta di una palla al piede che blocca anche lo sviluppo delle regioni più avanzate ed è causa primaria del declino. Ci sono solo due soluzioni: o la separazione del Nord, traumatica per tante ragioni che ho già spiegato, ma non così impossibile, oppure portare anche il Sud, tutto il Sud, al passo con i comportamenti del resto d’Italia. Già, ma come?
Sul Corriere della Sera di oggi, lo scrittore Raffaele la Capria sollecita un’assunzione di responsabilità del governo centrale nei confronti delle regioni meridionali. Richiesta giusta, ma che può essere fuorviante se non ci ricordiamo che cosa è successo finora.
L’assunzione di responsabilità ci fu, almeno in termini economici, nell’immediato dopoguerra, con la creazione della Cassa per il Mezzogiorno. Poi, dopo la nascita delle Regioni, la Cassa venne di fatto smantellata, sostituita da un complesso sistema di erogazioni miranti a finanziare progetti nati soprattutto dagli enti territoriali. Furono soprattutto la Dc e il Pci a portare avanti questo disegno di riappropriazione dei fondi per il Sud da parte della classe politica meridionale che questi partiti dominavano.
L’intervento straordinario fu sminuzzato in tanti progetti locali. Rimasero in piedi alcuni strumenti di incentivazione industriale gestiti a livello nazionale, ma la responsabilità politica si spostò marcatamente verso la periferia: un processo che continuò anche negli anni ’90, dopo la fine ufficiale dell’intervento straordinario, perché la discesa in campo della Lega accentuò le spinte verso il federalismo e il decentramento, con effetti anche sul Mezzogiorno. Quando la politica per le aree depresse passò al Ministero dell’Economia (oggi è allo Sviluppo Economico, ma il discorso non cambia), un gruppo di tecnici guidato dall’economista Fabrizio Barca si prodigò in modo meritorio per introdurre parametri oggettivi nell’uso di fondi pubblici, nazionali e comunitari, da parte delle regioni meridionali. Ma rimettere ordine non poteva bastare per cambiare la qualità dei progetti di base e tanto meno per dare un messaggio di rinnovamento politico. Nel frattempo, invece, la politica diventava sempre più pervasiva, trasformandosi, in termini di quantità di redditi che condiziona, nella più grande industria del Mezzogiorno.
E oggi? Chi deve assumersi la responsabilità delle politiche di emergenza sempre più necessarie non solo per smaltire la spazzatura in Campania, ma per imporre la legalità? Nel Sud ci sono anche amministratori locali competenti e capaci, per esempio Vincenzo De Luca, il primo cittadino di Salerno che risulta al primo posto nelle classifiche di popolarità tra i sindaci dei capoluoghi italiani per il suo coraggio nell’affrontare inefficienza e malavita. Ma lo stesso De Luca, come emerge dall’intervista rilasciata al Sole 24 Ore, è in polemica frequente con la regione, con il suo partito (il Pd), con il centrosinistra e dichiara “Se non accelerano anche Napoli, la Campania, il Mezzogiorno, certo non riusciremo ad arrivare lontano”. Uno o dieci buoni sindaci non bastano insomma per invertire la rotta.
Che fare dunque? Il contrario di quello che chiede il leader di An Gianfranco Fini che vorrebbe porre fine alla politica dei commissari straordinari e lasciar fare agli enti locali: non dimentichiamo che Alleanza nazionale ha nel Sud una parte molto importante della sua base elettorale. Io credo invece che senza un intervento centrale molto forte non si riuscirà mai a dare al Sud un messaggio di legalità. Al tempo stesso credo che abbia torto l’economista Nicola Rossi, che propone di abolire tutti i fondi per il Sud e lasciar fare al mercato. L’esperienza dell’Europa ci dice che i fondi per le aree sottosviluppate sono indispensabili. Il problema è spenderli bene e non disperderli a pioggia, cosa rivelatasi impossibile con questa classe dirigente. Ma non dare i soldi necessari perché non si è capaci di spenderli bene vuol dire impedire lo sviluppo.
Insomma, nel Sud bisogna investire, ma in molti casi riportare a Roma la responsabilità delle decisioni. Questo inevitabilmente creerà una disparità nei confronti del Nord, che ha invece bisogno di meno centralismo e di più autonomia nella gestione dei propri fondi, pur pagando il giusto prezzo della solidarietà verso il Sud.
Ma è possibile una politica che dia più autonomia al Centronord e metta il Mezzogiorno sotto tutela non solo per la spazzatura ma per tutte le attività infiltrate da mafia, camorra ndrangheta e sacra corona unita? Certamente no, almeno nell’attuale contesto politico, perché questa linea politica si scontrerebbe con buona parte dei parlamentari meridionali, che anche quando non sono mafiosi non vogliono comunque perdere potere. Solo un governo di grande coalizione, con maggioranze molto ampie, potrebbe adottare le politiche necessarie. Gira e rigira, il discorso va sempre a spiovere qui: il Paese ha bisogno di una fase politica straordinaria e di leader adeguati, capaci di raccogliere un ampio consenso trasversale rispetto agli attuali schieramenti.

DeclinoDegradoFederalismoGovernoItaliaMezzogiornoSecessioneTerza Repubblica
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