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16 novembre 2007Lascia un commentoSenza categoriadi Donato Speroni

Nel futuro prossimo non ci sarà un governo mondiale, ma non possiamo sopravvivere senza un quadro di accordi e di istituzioni che garantiscano una gestione condivisa dei grandi temi dell’energia e dell’ambiente. Sono arrivato a queste conclusioni dopo aver gestito il desk per giornalisti del World Energy Congress, lavorando su tutti gli interventi e i dibattiti. La governance globale è indispensabile per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, il contenimento delle speculazioni sui prezzi dell’energia, la crescita sicura del nucleare, un dopo Kyoto accettabile da tutti e davvero efficace nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica, la gestione delle conseguenze inevitabili di cambiamenti di clima. Ci vorranno leader con coraggio e visione e una continua pressione dell’opinione pubblica.
Per incarico di Zig-Zag, la società di comunicazione di Andrea Zagami, ho coordinato nei giorni scorsi il desk del media center del World Energy Congress. E’ stato un lavoro intenso e interessante, al servizio di 979 giornalisti accreditati. Con una squadra di sei giornalisti che voglio ricordare uno per uno, Concita Minutola, Nicola Scevola, Eric Sylvers, Tessa Thorniley, Paola Toscani, Fulvio Totaro, per cinque giorni abbiamo seguito tutti gli eventi di questa gigantesca manifestazione, sfornando un centinaio di comunicati, tra italiano e inglese, per dar conto di tutti i discorsi e i dibattiti.
Essere al centro del flusso informativo di un evento mondiale (quattromila delegati che avevano pagato circa 2000 euro ciascuno per partecipare!) su un tema così importante aiuta anche a chiarirsi le idee. Il World Energy Council che ha organizzato l’evento ha posto al centro il tema dell’interdipendenza, che nel campo dell’energia è fondamentale: basta guardare la carta mondiale dei gasdotti o dei flussi del petrolio per rendersene conto. Nelle discussioni, accanto a questo tema è emerso con forza quello della politica, cioè la necessità di governance globale, sul quale hanno insistito anche Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema. C’è un insieme complesso di questioni, dalla sicurezza degli approvvigionamenti all’incentivazione delle politiche di risparmio energetico, dalla transizione verso forme di energia meno inquinanti agli interventi conseguenti al cambiamento di clima, che possono essere affrontati solo con forti accordi internazionali e con organizzazioni internazionali in grado di gestirli.
1) C’è innanzitutto il grande tema degli approvvigionamenti di idrocarburi. Il dialogo tra Paesi produttori e consumatori è necessario per evitare tensioni tra offerta e domanda, ma soprattutto, in tutti i casi in cui la fornitura avviene attraverso oleodotti o gasdotti, è necessario avere la garanzia che quella fornitura “rigida” non verrà utilizzata per condizionamenti politici. Se domani, oltre a trasferire petrolio o gas, cominceremo a trasferire su lunghe distanze anche l’energia elettrica ottenuta dalla energie rinnovabili, il tema di un soggetto politico internazionale che garantisca la sicurezza degli approvvigionamenti diventerà ancora più importante. Si pensi per esempio ai progetti, a cui ha accennato il premio Nobel Carlo Rubbia al Venice Forum, di produrre energia elettrica per l’Europa dal sole del Sahara. Si tratta di investimenti giganteschi, che possono essere fatti soltanto in un quadro politico di certezza tra tutti gli Stati coinvolti.
2) C’è poi (e ne ha parlato al Congresso Romano Prodi) la necessità di limitare la speculazione sul petrolio e sui prodotti petroliferi: le tensioni reali del mercato sono oggi fortemente amplificate dai meccanismi speculativi. Per noi è normale pensare di avere un’agenzia di regolazione dei mercati finanziari a livello nazionale come la Sec americana o la nostra Consob, che vigila contro gli eccessi, ma nulla di simile esiste a livello internazionale. Forse si dovrà in qualche modo arrivarci.
3) Altro grande tema di governance è il nucleare, dove il mondo è dibattuto tra il bisogno di nuove centrali, perché assai meno inquinanti di quelle a combustibili tradizionali, e la paura (accanto alle altre sulle scorie e gli incidenti, che però mi sembrano superabili con le nuove tecnologie) che i processi di produzione siano usati anche per mettere da parte una bella scorta di bombe atomiche. Il caso Iran è tipico di questo dilemma ed è anche la dimostrazione di come la governance attuale affidata all’International Atomic Energy Agency non sia sufficiente.
4) Il tema più complesso sul quale dovrà comunque esercitarsi la governance internazionale è il cosiddetto “dopo Kyoto”. Il problema è emerso chiaramente al congresso di Roma, ma sulla diagnosi gli esperti convergono da tempo: l’energia c’è, anche abbondante, ma gran parte dei combustibili e carburanti impiegati provoca il surriscaldamento del pianeta. Se i nuovi Paesi in via di sviluppo, crescendo, adottassero gli stessi modelli di consumo di Stati Uniti ed Europa sarebbe un disastro. C’è un solo sistema finora ideato per spingere verso un sostanziale risparmio energetico: l’aumento del prezzo dell’energia attraverso una tassa su tutte le fonti inquinanti (cioè in pratica sulle emissioni di CO2) i cui proventi potrebbero andare a incentivare le nuove tecnologie o le attività di riequilibrio delle emissioni attraverso iniziative (come per esempio la riforestazione) che riducono l’anidride carbonica nell’aria. L’aumento dei costi energetici che ne derivera può anche provocare un temporaneo rallentamento economico, bilanciato però dalla sviluppo (che sta già avvenendo) di tutte le attività anti-inquinanti. Gli impegni assunti dall’Europa con il Protocollo di Kyoto vanno già in questa direzione, però è evidente che entro il 2012, quando Kyoto scadrà, si dovrà arrivare a un meccanismo quantificato per tutti i grandi inquinatori, compresi Stati Uniti, India e Cina. Sugli Usa c’è la speranza che la futura amministrazione riprenda una politica responsabile, anche sulla spinta di un sostanziale cambiamento dell’opinione pubblica. Quanto ai Paesi in sviluppo, è giusto che chiedano condizioni che non sacrifichino la loro possibilità di crescita, ma è anche necessario che assumano impegni quantificati. Insomma, una trattativa molto complessa, che può avere la possibilità di riuscire solo perché il cambiamento di clima sta diventando la priorità numero uno per gran parte del pianeta. E così come si è passati dal Gatt (che era solo un accordo commerciale) alla World Trade Organization per gestire adeguatamente gli impegni, si può immaginare che nel dopo Kyoto anche la gestione di una eventuale carbon tax internazionale richieda strutture internazionali adeguate.
Infine, la governance sarà indispensabile proprio per gestire i cambiamenti di clima: i danni gravissimi dei fenomeni meteorologici estremi, le migrazioni di massa a causa della siccità, l’abbandono di zone costiere che saranno sommerse dall’acqua. Sono tutti compiti di cui già si occupano le agenzie dell’Onu, ma l’impegno e l’efficienza richiesta saranno certamente molto maggiori.
In conclusione, penso che possiamo forse permetterci di andare avanti ancora per qualche decennio senza un governo mondiale, in un delicato equilibrio tra grandi potenze e accordi regionali. Ma non possiamo affrontare neanche il futuro prossimo senza una governance globale, fatta di accordi tecnici e politici, istituzioni efficaci per farli rispettare, continua pressione dell’opinione pubblica. Saranno anche necessari leader politici con capacità e visione. Ricordo una frase di un relatore, nei tanti discorsi di questi giorni al Congresso: “Una dozzina di persone nel mondo è in grado di avviare a soluzione i nostri problemi”. Solo da una comune volontà dei leader più importanti può scaturire una governance condivisa.

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