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30 settembre 20071 CommentoAmarcord, Europa, Nord e Suddi Donato Speroni

Alcuni commenti al mio precedente post che ho ricevuto sul blog e a voce m’inducono a una precisazione. Anche se la mia famiglia proviene dal cuore della Lombardia, anche se porto lo stesso cognome dell’eurodeputato Francesco, ex segretario di Umberto Bossi, non sono a favore della divisione del Nord dal resto del Paese. Ho solo cercato di descrivere i rischi che il Paese sta correndo e mi sembra che l’escalation dei toni sul tema della secessione giustifichi la mia preoccupazione. Ma chi legge articoli sullo schermo anziché su carta troppo spesso giudica in modo frettoloso. Oggi sul web si usa una lettura “impressionistica”; difficilmente ci si ferma a leggere fino in fondo un articolo, e comunque lo si fa così in fretta che non se ne colgono tutte le implicazioni.

Il mio post sul blog sul web… che parole ragazzi, solo dieci anni fa mi avrebbero preso per pazzo. o comunque non avrebbero capito un cavolo. Cercherò invece di spiegarmi in un linguaggio che sarebbe stato comprensibile anche a mio padre ingegnere, che se fosse vivo adesso avrebbe 104 anni, ma che negli anni ’50 era un dirigente della Ibm, una fabbrichetta degli americani in Via Tolmezzo, nelle nebbie di Lambrate. In quei tempi i computer occupavano intere stanze e la memoria era fatta di schede perforate, tanto che mia madre, che pure lavorava all’Ibm, raccontava che alla Fiera di Milano la gente veniva a chiedere se quel macchinone serviva a fare i coriandoli.
Ricominciamo. Quello che ho scritto sul mio diario pubblicato sulla rete mondiale che collega i calcolatori che abbiamo in casa (sì papà, è successo: i computer sono piccolissimi e facilissimi da usare. E’ una cosa bellissima, anche se c’è gente che li usa per fare del male. E tanti altri che si considerano troppo vecchi per capirli: magari hanno 50 anni, ma li usano con diffidenza e così non sanno sfruttarne le possibilità. Invece se tu ci fossi ancora sono sicuro che ti divertiresti un mondo…) Insomma, quello che ho scritto sul mio post precedente (pubblicato anche da Terza Repubblica) mi ha provocato diversi commenti. Ma dato che ancora non dispongo di una community (papà, ti spiego: è la gente che legge quello che ho scritto e lo commenta, in modo che tutto il mondo possa leggerlo; alla fine costituiscono una comunità di persone collegate tra loro da interessi comuni; pensa che c’è persino un comico che ne ha fatto uno strumento politico, ma questa è un’altra storia e forse è meglio che non te la racconti perchè il contesto in cui avviene probabilmente ti deprimerebbe. Tu partisti da Varese per fare la marcia su Roma, restituisti la tessera fascista dopo il delitto Matteotti, creandoti in questo modo non poche difficoltà, tanto da dover andare a lavorare con gli americani, come mi ha raccontato mio fratello che è un po’ più grande di me, ma poi eri di un tale rigore da non sopportare l’antifascismo dei voltagabbana e il clima opportunista del dopoguerra, tanto che ti sembrava un politicante persino De Gasperi, al quale tra l’altro somigliavi fisicamente in modo impressionante…
Che tirata. Ma torniamo al post sul blog sul web. Stavo dicendo che, dato che ancora non dispongo di una community, tra i commenti che ho ricevuto i più preoccupati vengono da persone che mi vogliono bene e che si preoccupano.
Tommaso: “A pa’ (lui è romano de Roma , l’Olona non l’ha mai vista e forse è meglio, visto lo schifo che è diventato il fiume), ma te pare, col nostro cognome vai a scrivere ‘ste cose…”.
Cristina: “Attenzione perchè un pubblico meno accorto potrebbe prenderti per un fautore di Bossi. Ma come, qui aumentano di giorno in giorno le bandiere belghe alle finestre (qui a Bruxelles), e tu inciti un federalismo in Italia? Ti assicuro che milanesi e palermitani hanno comunque molte più cose in comune di fiamminghi e walloni…”.
Tommaso ha ragione. Io batto (ops, diciamo navigo) i corridoi dei palazzi del potere romano ormai dal lontano 1962, quando venni a Roma con un lavoro all’Associated Press Photo per seguire la grande avventura del centrosinistra. Ricordo ancora quando Ugo la Malfa mi ricevette nella sua stanza di ministro del Bilancio e chiese a me ventenne che cosa pensavo della situazione politica, non perché mi stimasse particolarmente ma perché ero un giovane repubblicano ed egli (scusate, il “lui” usato come soggetto non mi viene) sapeva ascoltare. Ma anche questa è un’altra storia…
Dunque, dicevo, anche se come giornalista sono conosciuto nel Palazzo da tanti anni, certamente Francesco Speroni, attuale eurodeputato, mi ha surclassato. Su Google (papà, è una specie di biblioteca universale immediata: ti farebbe impazzire di gioia e piacerebbe molto anche alla mamma che era piena di curiosità culturali) compare in prima pagina mentre io, mio fratello Gigi e mio figlio Pietro (in ordine inverso, per la verità il che mi va bene per Gigi che è più anziano, però Pietro non è carino che ci passi avanti perché sei più alto negli algoritmi dello spider (troppo complicato papà, io non so spiegartelo, chiedilo a tuo nipote Pietro, il matematico) che naviga la rete.
Il peggio avvenne nella rassegna stampa dei Ds (gli ex Pci, papà, però ti assicuro che sono cambiati, non c’è più neanche l’Urss ma non possiamo divagare in continuazione) quando un anonimo estensore che bene o male doveva avere anche il mio nome nell’orecchio, scrisse in una nota che il segretario particolare del ministro Umberto Bossi anziché Francesco si chiamava Donato Speroni. Apriti cielo, perché la frase finì su Google e quindi in testa alle citazioni sul mio nome.
Tutto questo per dire che, anche se sono conterraneo del leghista con la cravatta di cuoio il quale se non sbaglio è di Busto Arsizio, apparteniamo a famiglie anagrafiche e politiche diverse.
Più preoccupante l’obiezione di Cristina. Anche perché non è l’unica che leggendo il pezzo ha pensato che sono a favore della secessione. In realtà io volevo dire tre cose:
1) Che esiste un rischio oggettivo, aggravato dal fatto che la secessione è tecnicamente più facile;
2) Che la globalizzazione favorisce questo processo contrariamente a quanto può sembrare, perché si accompagna alla rinascita del nazionalismo economico, di fronte al quale l’Europa di oggi è incapace;
3) Che per l’Italia sarebbe un disastro, ma purtroppo non è impossibile. E’ vero che gli italiani hanno molte più cose in comune di fiamminghi e valloni e forse anche di baschi e catalani, ma i milanesi ne hanno ormai di più con i bavaresi o gli svizzeri. E le divaricazioni comportamentali aumentano.
Mi sembrava di essere stato chiaro. Perché allora qualcuno mi ha frainteso? La prima ipotesi, ovviamente è che non ho fatto bene il mio mestiere di giornalista. Ma ho la presunzione di credere che ci sia un’altra spiegazione: che oggi sul web si usa una lettura “impressionistica”; difficilmente ci si ferma a leggere fino in fondo un articolo, e comunque lo si fa così in fretta che non se ne colgono tutte le implicazioni. Su un libro ci si ferma a pensare, sul web no. E un bel problema, perché la massa delle informazioni circola e si confronta sulla rete. Ed è sulla rete che si formano forti, vibranti, ma frettolose opinioni. Scrivere testi più brevi? Essere più semplici? E’ possibile. Ma come diceva Albert Einstein, “Everything should be made as simple as possible, but not simpler”.

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1 Commento
  1. 2 ottobre 2007 - 17:59
    Pietro

    Prima di tutto il nonno.

    quello che ha veramente sorpreso i primi ingegneri che hanno organizzato la rete di calcolatori e’ stats la velocita’ con cui la gente ha cominciato a mettere informazioni a disposizioni di tutti gli altri. Questo a sviluppato un altro tipo di economia e gli economisti ancora discutono su come rappresentarla. Ma anche questa e’ un’altra storia. Cosi accanto alla rete di computer fisici e’ cresciuta una rete di informazioni. Questo perche’ un scienziato un po’ pazzo si e’ ispirato ai collegamenti tra i neuroni e ha inventato un modo per far si che si potesse associare a ogni parola un documento da qualche parte della rete fisica degli elaboratori elettronici (d’ora in poi computer). Questo a creato la rete. Chiamata anche il web. Che e’ differente da internet. In web e’ una rete che unisce documenti. Internet e’ una rete che unisce computer. Il web e’ molto piu’ grande di internet. Net senso che ci sono molti piu’ documenti che computer. E qui c’e’ un problema. Come ritrovare tutti questi documenti. Vari algoritmi si sono succeduti. Il problema non e’ banale, perche tutti vogliono i loro documenti avere la priorita’. Piu’ si e’ visibili sulla rete piu’ si fanno affari (tra l’altro). In genere gli algoritmi leggono i documenti in rete, li scompongono nelle loro parole e poi quando dici che cerchi un documento che contenga certe parole di danno una lista di tutti i documenti possibili che contengono queste parole. Ma, come spiegato prima tutti vogliono i propri documenti essere i primi. Cosi’ se cerchiamo la parola “Speroni” la mia pagina compare prima di quella del papa’. Cosa che lo rende verde di invidia. Ma perche’? Per ordinare i documenti il piu’ popolare algoritmo (google) legge i documenti e poi legge tutti i documenti che hanno collegamenti (quelli di prima) che parlano di quel documento. Piu’ collegamenti una pagina ha piu’ e’ importante. E piu’ in alto sara’ nella lista di pagine. Cosi’ dato che io navigo in rete molto di piu’, scrivo di piu’, commento nei blog degli altri piu’ spesso (che mi porta ad avere un collegamento indietro automaticamente), i miei documenti sono piu’ popolari di quelli del papa’ e dello zio.

    Poi il papá:
    Guarda che anche io leggendo il tuo post nella sua prima stesura, ho capito che tu dicevi che in fondo non era cosi’ grave se anche ci dividevamo. E forse dopo aver letto quell’articolo mi hai un po’ convinto. E certo leghista non sono. Lettura impressionistica anche la mia? Forse e’ che sulla rete bisogna scrivere in maniera un po’ diversa. Insomma sei un giornalista, ma immaginati se un giornalista nel tuo giornale aveva scritto un articolo. E le lettere tutte indicavano che era stato male interpretato nello stesso modo. Poi lu davanti a te (direttore) si difende che tutti i vostri lettori non leggono con attenzione. Forse e’ anche vero, ma di certo un bravo giornalista conosce anche lo strumento che usa e come viene interpretato, cosi’ come un bravo arciere tiene conto del vento.

    Saluti dalla conferenza europea sui sistemi complessi a Dresda.
    Pietro

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